Kool G. Rap – Riches Royalty And Respect, recensione
Fa una certa impressione rendersi conto che I personaggi che hanno reso l’Hip-Hop importante ora sono nel pieno dei loro quaranta e passa anni, con un avvicinamento sempre più prossimo al mezzo secolo. Fa impressione soprattutto se si pensa che fino ad un decennio fa l’Hip-Hop era considerata musica per ventenni fatta da ventenni e che la sola idea di un rapper sopra i trenta faceva sorridere. Ma se questo fosse stato vero, oggi l’Hip-Hop, almeno come inteso nella sua concezione originale, sarebbe ad uno stadio avanzato verso l’estinzione visto che il ricambio generazionale è stato sinonimo di una virata verso una scellerata contaminazione di matrice commerciale. Allora ci si è cominciato a ricredere, soprattutto da quando i vari Public Enemy, KRS-One, Rakim e tanti altri hanno riempito locali ed arene in giro per il mondo, Di conseguenza è tornato l’interesse delle case discografiche per i veterani, i quali, grazie anche alla diffusione online di video e nuovi pezzi, sono tornati in auge se pur lontani dai circuiti tradizionali, che preferiscono la massa agli aficionados.
Questi ultimi non lasceranno di certo passare inosservato il nuovo lavoro di colui che è considerato tra i migliori rappers della storia, il signor Kool G. Rap dal Queens. La sua carriera iniziata a metà anni 80 nel team più influente dell’epoca, la Juice Crew di Marley Marl, ha visto inanellare una serie di capolavori, alcuni universalmente riconosciuti, come il suo esordio “Road To The Riches” ed i successivi album in coppia con DJ Polo (“Wanted:Dead Or Alive” e “Live And Let Die”), altri ingiustamente sottovalutati come l’incredibile “4,5,6” e il concept “Roots Of Evil”. Noto per i suoi testi crudi che ricalcano le trame di film polizieschi ambientati nel ghetto, G.Rap è stato anche criticato per la poca varietà di argomenti che ha contraddistinto soprattutto la seconda parte della sua carriera, caratterizzata per altro anche da qualche passo falso (“The Giancana Story” e “Half-A-Clip”). Ma il suo flow e la sua capacità di mettere insieme rime non è stata mai messa in discussione e le tante sue presenze come ospite in album di spicco testimonia la sua importanza tecnica e carismatica da maestro del microfono.
Chi si aspetta qualcosa di diverso da “Riches Royalty And Respect” può anche evitare di ascoltare questo CD (disponibile anche in doppio vinile). Si tratta di un album nel quale Kool G. Rap si immerge in un clima anni 70, stile Blaxploitation, per dare voci ai gangster/pimp di quell’epoca rapportandoli ovviamente al mondo di oggi tramite il rap. Sostanzialmente il succo dei testi ricalca il classico schema del rapper del Queens, tra violenza, sesso, business di strada, prostitute e pistole. Il tutto però su una produzione musicale che strizza l’occhio al funk ed al soul “vero”, con riferimenti a Curtis Mayfield, Isaac Hayes, Marvin Gaye e Willie Hutch. Ma non ci sono cadute di stile o ritmi rilassati, pieni di cori cantati o sintetizzatori a iosa come nel più esagerato G-FunK: il disco suona newyorkese fino al midollo, la drum-machine è sempre in evidenza e le rime di G-Rap non mollano un colpo. Dopo la “Pimptro”, che già mette in mostra la forma di KGR, la prima bomba verbale è accesa con “Ya Chic Chose Me”, due versi di rime concatenate e fluide raramente riproducibile da chiunque non si chiami Kool G.Rap su una base semplicemente funky, tra tastiere e loop vocali, perfetta.
“In Too Deep” è un viaggio nel tempo, uno dei pezzi dall’atmosfera più fumosa nella carriera di Kool G. Rap, il quale rappa su un ritmo che sembra scritto per la colonna sonora di “Superfly”. Se “70s Gangsta” è un po’ il manifesto vocale e musicale del progetto, un rap lento che prende quota nella base dominata dal loop di organo, “Pillow Talk” è classico G-Rap, capace di impossessarsi della traccia alla prima rima, pur senza una base particolarmente esaltante. “The Meaning To Your Love” musicalmente segue uno stile ormai clichè, quello del campionamento soul velocizzato su una base semplice però in questo caso efficace ad esaltare lo storytelling pimpologico di G-Rap. L’album supera la sua metà con “Sad”, che ha preceduto l’album ed è già un classico e con “Maggie”, forse il meno convincente del mucchio data la sua base poco convincente. Di contrato però c’è il classico boom-bap di “Money Ova Bitches”, dove Kool G. Rap sfodera il suo rap veloce tra scratch ed un sound che sa di golden age, non a caso la produzione in questo caso è affidata a Marley Marl per una riunione storica. .
Minimalista e ben fatta la base di “G On” nella quale il loop di violini evidenzia bene i versi infuocati. In “Pages Of My Life” è vincente il contrasto tra il carattere drammatico e storico del testo ed assolutamente dritto ed aggressivo della musica, coadiuvata da un campionamento vocale in lontano sottofondo. Come vuole un degno copione di un film poliziesco, verso la fine c’è l’epilogo spesso amaro che in questo caso culmina con “Goin’ In”, dove la narrativa criminale incontra una traccia tra le più sperimentali sulle quali KGR abbia mai rappato sopra, tra il meccanico e l’elettronico, il tutto per creare un’alta tensione che non perde mai di vista il fulcro hardcore. Ed a proposito di hardcore, l’unico vero ospite dell’album è all’insegna dell’Hip-Hop più crudo, trattasi infatti di Havoc dei Mobb Deep, presente in “America’s Nightmare”, classico scambio di versi made in Queens con la preziosa collaborazione di Alchemist. “Da Real Thing” è in assoluto il pezzo dove ci si concede di più al funk, con maggior spazio lasciato alla voce femminile di Heather Walker e su presenza più fitta di strumenti live. Le trionfanti trombe aprono “Harmony Homicide”, la traccia con la quale KGR si congeda, ricordando a tutti con dei versi quasi sussurrati ai limiti della perfezione tecnica che quando lui si avvicina al microfono, non si scherza.
Affidandosi per la maggior parte a produttori giovani ma con le idee chiare ed il giusto talento (DJ Supa Dave, The Insurgency e Gordon Humphrey) per Kool G. Rap è un gioco da ragazzi tornare al top del circuito. E anche se l’Hip-Hop è cambiato, la competizione non è tale da intaccare la sua leggenda. Almeno per chi ha voglia di rimanere lontano da certi circuiti.