Kings Of Convenience – Declaration of dependence, recensione.
Sono passati ben 5 anni dal loro Riot on an empy street, ma per questo duo norvegese sembra sia passato solo un mese, o poco più.
Un lasso di tempo così ampio, in effetti, poteva lasciar presagire la digestione di un processo artistico evolutivo ma, in realtà, già nell’ascoltare il primo singolo Boat Behind (diciamolo pure, non proprio ben scelto, come apripista), chiunque si sarà accorto che, almeno a livello stilistico, si è mossa solamente qualche foglia.
A beneficio di chi ancora non li conoscesse, diciamo che l’accostamento più sensato per capire lo stile dei Kings of Convenience – a costo di sembrare blasfemi – è con quello di Simon e Garfunkel: repertorio acustico e harmony vocals in duetto, con canzoni bonsai (quasi tutte sotto i 4 minuti) che sembrano uscire da un’altra epoca, da un’altra dimensione. L’atmosfera che si respira quando cantano loro è sempre piuttosto autunnale (…coerente, al riguardo, la data di uscita di quest’ultimo album), e perfino nelle (rare) canzoni dal ritmo mid-tempo, alcune in stile filo-bossanova, l’umore dell’ascoltatore finisce col tendere, comunque, al malinconico.
Venendo alle canzoni di Declaration, sottolineiamo la splendida iniziale 24-25 che, definendone subito contorni ed espressione artistica, si propone come sorta di portabandiera. Rispetto al passato il duo ha reso ulteriormente scarna la produzione, limitandosi spesso alle due chitarre (acustica e classica), alle quali solo di tanto in tanto si aggiungerà qualche viola (ben suonata ed arrangiata dal produttore italiano Davide Bertolini), o un contrabasso.
Simpatica Mrs Cold col suo incedere andante e sinuoso, mentre Me in You è un piccolo capolavoro, verosimilmente la più bella traccia, capace con la sua melodia, di trasportare idealmente cuore e mente del fortunato ascoltatore al fianco di un caminetto, magari in un giorno piovoso e con una tazza di thè caldo a fargli compagnia, ripensando con un po’ di sana tristezza alle belle giornate estive appena passate.
Molto intenso, poi, il tris d’assi, calato verso la fine del disco, che inizia con Freedom and its owner, nella quale spicca in particolare la seconda voce capace di dilatare capacità espressiva e bellezza del pezzo. Segue a ruota Riot on an empty street – che curiosamente riemerge solo ora, dopo aver dato il titolo al già citato album precedente, senza tuttavia esservi pubblicata – mentre chiude la mano la tanto essenziale, quanto unicamente dolce, Second to numb.
Due righe sui testi – tutti intuitivamente riferiti al rapporto di coppia – basati su un linguaggio tendenzialmente poetico, ricercato, ed a volte un po’ermetico. Da elogiare, anche, la scelta mai banale dei titoli, (a cominciare proprio dallo stesso Declaration of dependance), che denota una cura nei dettagli a nostro avviso capace di fare la differenza nell’odierno panorama pop / easy listening internazionale.
Tirando le somme, si tratta di un disco bello e delicato, che certamente vi consigliamo, nonostante qualche lieve pecca – come l’esagerata lentezza di almeno un paio di pezzi (My ship isn’t pretty e Scars on land) – che comunque non rischia di comprometterne il giudizio, complessivamente positivo.