Kathryn Williams “Crown Electric”, recensione
Da qualche settimana Music on tnt ha instaurato una nuova e vitale collaborazione con la
Ja.La Media Activities, felice realtà di La mott, località milanese meglio conosciuta con il nome di Motta Visconti. Proprio qui, vicino al discendente Ticino, Laura Beschi e Jarno, nom de plum di Carlo Garrè, poco più di un lustro addietro, hanno intrapreso l’avventura nel music business.
L’azienda, pronta a definire tout court il concetto di comunicazione attraverso ufficio stampa, promozione e management, giunge a noi attraverso un disco di cui ci si può innamorare.
Questo Crown Electric, decimo album di Kathryn Williams , prende spunto dalla compagnia elettrica per la quale un giovane Elvis si adoperava nelle consegne. Ma non crediate di ritrovarvi immersi in un puro rock old school!
Infatti quest’ultima fatica della madrina britannica rappresenta un platter ottimamente strutturato e diretto a chi possiede gli occhi attenti dell’ascolto puro, a chi vive alternative, a chi ha navigato tra le prime ondate del nu-acoustic moviment e molto probabilmente anche a tutti quegli spettatori più semplicemente legati all’easy listening.
Dunque… aprite i vostri sensi ( e poi il vostro portafoglio), perché questa nuova release di Kathryn Williams merita un ascolto terso ed esclusivo, in cui la necessità di abbracciarsi al suono in maniera attentiva, garantisce un viatico preferenziale tra le suggestioni musicali ed il cuore pulsante di una voce incantevole e raffinata, proprio come dimostra l’ispirato incipit Underground, in cui la ponderata chitarra cavalca la dolce leggiadria della songwriter. I passaggi di note finiscono per fondere le sensazioni folk rock dei più ispirati Simon & Garfunkel, velature indie e forme trasparenti di alternative-country. L’opener, di certo tra le migliori tracce del platter, si evolve grazie al suono delicato e posato di un archetto, adeguato a finalizzare un ciclico e dinamico andamento, pronto a farsi più cupo e meditativo con Gave it Away.
Le sezioni d’archi, talvolta invasive, da un lato forniscono una strutturazione piacevole, ma non sempre funzionale, come dimostra Count, troppo improntata su di un arrangiamento sopra le righe. Gli episodi però meno a fuoco sono molto pochi, come dimostrano Tequila e la splendida Out of time, in cui la voce di Liverpool apre le porte di una sognante percezione, qui sottolineata dal suono di una tromba, abile nel fungere da bridge tra le strofe.
Non mancano poi interessanti collaborazioni, come nel caso della perfezione emozionale di Darness light, in cui le back voice e l’andamento aggraziato si uniscono all’ombra artistica di Ed Harcourt, che sorge anche tra le note bianco nere di Sequins, un lineare e dolce planare non lontano dalle tonalità liriche di Cat Power, qui riportata all’interno di un tentativo (riuscito) di trasfigurare la genuinità espressiva del recente passato. Se poi l’anima emotiva dell’artista fiorisce appieno con momenti chiarificatori come in Picture Book, è con Arwen che Kathryn segna il sentiero percorso. Di certo il cello Ben Trigg e la collaborazione con James Yorkston riescono ad eludere ogni dubbio residuo, proprio come accade con l’ottimo finale. Infatti è proprio la perfezione descrittiva di The known a circoscrivere la chiusura di un disco il cui livello compositivo si erge sulla mediocrità mainstream, pronto a collocare l’astante su di un binario onirico e fluttuante.