Kaos – Karma, recensione.
Nell’insolitamente tranquilla e jazzata “Intro” di Karma, Kaos apre rappando la seguente frase: “sai che ti dico, altro che vecchio sono antico!”, e nel minuto che segue l’artista milanese si guarda allo specchio prendendo atto della sua distanza dai “rapper preferiti” dal pubblico attuale, facendo della sua resistenza “al fango e al sospetto” un motivo in più per esserci ancora, come ai vechi tempi.
In questo incipit c’è tutta l’essenza di Kaos, personaggio controverso nel mondo dell’Hip-Hop italiano, da sempre fuori da ogni regola se non quella della dedizione a questa musica. I suoi rap urlati con voce roca e strozzata non sono proprio materiale da grande pubblico, così come il suo essere poco visibile (non esiste un suo video, nemmeno su youtube) e poco “produttivo”. “Karma” infatti è il suo terzo album da solista in oltre 15 anni di carriera, segnata dall’esordio in lingua inglese con i mitici Radical Stuff ed alcune collaborazioni nell’underground tra cui il cupissimo progetto con Sean e Deda dall’emblematico nome di “Merda e Melma”. Addirittura dal suo ultimo lavoro solista sono passati sette anni e visti i tempi, bisognerebbe ringraziare e venerare l’etichetta discografica che ha il coraggio di dargli spazio. A dirla così però, sembra quasi che Kaos abbia bisogno di una chance per rilanciarsi, invece siamo costretti ad esprimerci in questi termini per uno dei tre migliori rappers italiani, sia per livello tecnico che per profondità di contenuti. Quindi, il solo fatto che “Karma” sia nei negozi è motivo di giubilo per gli hip-hoppers dello stivale.
A questo punto, ci si potrebbe far venire il dubbio che Kaos con gli anni abbia ammorbidito il suo approccio ed edulcorato il suo stile. Bè, dispiace per chi penserà che “così non si evolve” ma Kaos è sempre lo stesso. Anzi, probabilmente ha in serbatoio un carico di veleno più pesante del solito. Innanzittutto i suoni sono sempre in linea con ciò che l’amante dell’Hip-Hop vuole e qui un particolare plauso va ai beatmakers coinvolti, ovvero DJ Shablo, Don Joe e DJ Argento. Ma è ovviamente sulle tematiche affrontate con emozionante vena poetica da Kaos che il tutto prende corpo. In “Uno” ad esempio, in quattro minuti smonta l’entità plastificata dei trend musicali di oggi, con particolare occhio a chi si è piegato alle esigenze commerciali. Il riferimento a J.Ax sembra palese (“prima nato per rappare, ora pseudo-metallaro”) ma ci sono stilettate per niente velate ad MTV, alle radio, a chi si finge impegnato. Ritmo tiratissimo e potente, rime in primo piano, insomma puro stile Kaos. E se il primo pezzo Kaos lo dedica al “suo” mondo, con “La Zona Morta” tocca un argomento universale, ovvero l’impatto devastante della TV sulla popolazione. E anche se il soggetto è stato già affrontato da altri, Kaos riesce a farlo in un modo diretto e preciso, cogliendo con passaggi da brividi tutta la degenerazione del piccolo schermo e la dipendenza che esso crea, senza tralasciare chi il sistema mediatico in questione lo controlla (“perchè tra sti fenomeni in questione è il più debole degli uomini che fotte la nazione, se la sua versione cambia come cambia gli abiti, la sua realtà è finzione come i suoi reality”). “Il Sesto Senso” è una collaborazione con i Club Dogo che si apre con un verso di Kaos indirizzato all’assenza di morale della società contemporanea e si perde un pò nei due versi piuttosto generici degli ospiti, rendendolo il momento meno interessante di tutto l’album. Ma a far ardere di nuovo la fiamma c’è “Pandemia” che va giù pesante su un mondo che per tutti (ahimè anche per la maggior parte degli artisti) è tabù: quella della religione. Su un’essenziale base dai toni scuri, Kaos rivendica a suo modo la laicità della nazione e accusa, non senza analizzare a fondo, l’ingerenza del Vaticano nell’opinione pubblica e politica (“politica e privato, sangue sul sagrato, niente in comune?ok, sarò scomunicato”). Un’autentica fiammata nel silenzio e nel buonismo del nostro paese. Per il pezzo successivo, Kaos si associa ad un altro rapper dalla lingua avvelenata, cioè il suo amico Turi, uno dei pochi che può permettersi ad affiancarlo al microfono e tenere testa. Il pezzo in cui i due uniscono il loro talento (e che ancora una volta fa pensare a quanto sarebbe potente un loro album insieme) si chiama “Mu-sick”, e il riassunto dei concetti espressi è ben spiegato dal refrain: “mettila sul ridere mi sa che tanto è l’unica ma non sta a me decidere il valore di sta musica, non puoi capire questa musica se non hai amore per sta musica puoi solo uccidere sta musica…”. Atto d’accusa (l’ennesimo) contro il mercato e soprattutto d’amore verso la musica vera anche tramite un sopraffino beat dall’anima funky e dei versi extralusso di due mc (Kaos e Turi) che sono un patrimonio del nostro Hip-Hop. In un certo senso Kaos sembra voler continuare ad evidenziare la sua voglia di allontanarsi da questo sistema dove domina il denaro con “Algoritmi” in cui il suono si fa tranquillo ed ipnotico e versi come “se vuoi ripassa matematica e fai il conto del quoziente,se dai niente per niente avrai sempre e solo niente”. In “Firewire” viene messa in evidenza la differenza tra l’energia vera del pubblico del live e di chi la musica la suda e la vive, con i “nerd” da computer che formano opinioni distorte basate su siti e blog poco affidabili. Perfetto in questo caso l’abbinamento coi Colle der Fomento, paladini di tanti concerti e condivisori della medesima filosofia. Si respira Hip-Hop puro, prima con i Colle, poi nella seguente “Blah Blah”, grezza e lineare, suono ruvido sul quale Kaos esprime al meglio la sua tecnica ed il suo disagio tra scratch ed atmosfera underground. Atmosfera che aleggia in realtà dall’inizio alla fine e si fa sempre più forte in “DCDV”, pezzo che si distingue dagli altri perchè non si focalizza sulla rabbia e sulla critica ma lascia invece spazio alla messa in luce delle attività di DJ Trix. Un pezzo che è quasi un “promo” ma che spacca grazie anche allo spassosissimo verso in pugliese stretto dell’ospite Moddi. Ma ovviamente Kaos non poteva chiudere con un pezzo quasi luminoso e quindi prima di congedarsi ritrova i suoi fantasmi del passato col notturno “Insonnia”, nel quale vengono esplorati in maniera quasi psicanalitica i pensieri e le ansie che affiorano durante le notti da veglie forzate. In un beat che profuma di New York, Kaos regala un’ultima perla che disegna ancora una volta un suo profilo intenso e fragile, che sembra quasi aver bisogno di dialogare col buio anche se “il tuo obbiettivo è sopravvivere il suo è farti impazzire”.
Il karma di Kaos è sempre in bilico tra attacco e rassegnazione ma fondato su onestà intelletuale e fermezza stilistica che il passare del tempo ed il peggiorare di situazioni già sofferte non possono scalfire. I suoi testi e le sue metafore non sono semplici, più di un ascolto è spesso necessario per cogliere il senso ed i particolari. E quindi questa è solo una ragione in più per farsi coinvolgere dal talento e dalla passione di uno dei capisaldi dell’Hip-Hop italiano, che ci lascia con un dubbio, quello del suo ritiro dalle scene quasi annunciato nell’outro di chiusura (“Fine”) che speriamo non diventi mai una certezza.