Julian Casablancas – Phrazes For The Young, recensione.
Alla fine si è deciso anche Jules, rompendo l’assordante silenzio di attesa per il ritorno degli Strokes, con il suo primo cd da solista che ha visto la luce i primi di novembre. Come già anticipato, il cantante newyorkese non è il primo ex-Stroke ad avventurarsi in questa nuova esperienza, ad aprire la serie infatti era stato il chitarrista ritmico Albert Hammond Jr.
Julian da par suo è uscito allo scoperto scrollandosi di dosso il peso delle aspettative per un nuovo lavoro degli Strokes e presentando un album viscerale che racchiude quanto di più puro racchiuda il suo background musicale. L’obiettivo dichiarato era fin dal principio quello di prendere le distanze con quanto già fatto insieme al suo gruppo precedente, essere autore di qualcosa che potesse essere immediatamente riconoscibile e originale, senza cercare utopie improbabili attraverso uno sconsiderato mix tra generi troppo diversi.
Ad un primo impatto Phrazes For The Young suona 80’s, la presenza ossessiva della tastiera e un suono di batteria quasi campionato, ricorda in alcuni passaggi sonorità simili a quelle che caratterizzarono il synth-pop degli Ultravox. Sarebbe un errore però cercare di etichettare un album che sembra proprio non aver spazio per le etichette, è infatti un mix di generi rivisitati in questa chiave pop-rock anni 80 che, seppur non racchiuda al suo interno il capolavoro con la C maiuscola, si distingue per una ricercatezza del suono.
L’opening track Out Of The Blue è un pezzo solare, che scuote, unendo sonorità da classico rock’n’roll veloce, quasi da filastrocca country sia nella ritmica che nel riff, ad un ritornello melodico e cantabilissimo nel quale entra la tastiera a dare un supporto corale di riempimento.
Left Right In The Dark è, tra tutte le canzoni dell’album, forse la più riconducibile a un sound simile a quello degli Strokes, sebbene la tastiera non fosse presente nella precedente formazione di Julian. 11th Dimension è il primo efficacissimo singolo estratto dall’album ed è il pezzo principe di questo filone synth-pop. Chords Of The Apocalypse è, a suo modo, un blues fatto di giri semplici e una tastiera travestita da organo stile chiesa gospel; pur assumendo la struttura e le sonorità preponderanti di una tipica ballata blues, non manca l’immancabile venatura di synth, quasi impercettibili in questo pezzo ma in ogni caso presenti nel corso di tutta la canzone, che sembrano dare un tocco futuristico a qualcosa di classico per definizione. Ludlow St. che si apre (e si chiude) con un intro strumentale che potrebbe essere la sigla di un telefilm di fantascienza anni 70/80 ed invece poi cede il passo al brano vero e proprio che assume tutt’altri connotati, in questo caso però non si tratta di blues, ma di country, con tanto di banjo, contaminato con i tratti caratteristici del proprio stile al fine di renderlo unico e personale. Il pezzo di chiusura è Tourist, apertura scandita da una finalmente ben presente batteria e condotta da un riff, non mancano i synth d’accompagnamento ovviamente, che poi prendono il sopravvento nel ritornello, cantato timidamente interpretando il senso di solitudine e dispersione che il testo comunica; la conclusione riserva una sorpresa, rappresentata dalla tromba che compare nel bridge prima del finale e accompagna quindi l’ultimo ritornello fino al termine della canzone e del disco.
In definitiva questo cd di esordio da solista di Julian Casablancas, pur non costituendo un capolavoro, rappresenta qualcosa di unico al giorno d’oggi , giorni caratterizzati da una scena indie sempre più tendente all’omologazione verso il modello britannico. Finalmente un modo concreto di rivisitare sonorità del passato rendendole moderne, con buone speranze per eventuali futuri lavori, tenendo conto delle qualità compositive in dote e dei margini di miglioramento che l’ex leader degli Strokes ha davanti a sé.