Johnny Cash – LIve at Folsom Prison (1968)
Se qualcuno si chiedesse quale album nella storia sia riuscito a “fotografare” meglio la reciproca empatia fra un’audience ed un artista durante una sua esibizione live, la scelta dovrebbe legittimamente ricadere su “At Folsom prison”. Questo motivo, e molti altri, ce lo hanno fatto inserire nella lista di Dischi da Isola Deserta di Music on Tnt.
A chi non conosce la vita e il carattere di Johnny Cash, potrà sembrare strano che nel 1968 (precisamente il 13 gennaio), anche per rilanciare la propria carriera, decise di vivere un’esperienza artisticamente e umanamente unica come quella di cantare un concerto intero in un carcere di massima sicurezza, fregandosene altamente dell’opposizione della sua casa discografica.
Il grande re del country, in verità, per via delle sue piccole vecchie beghe con la giustizia, si sentiva molto vicino a quella folla di circa 2000 detenuti che lo ascoltarono con entusiasmante rispetto dall’inizio alla fine. Questo feeling emerge chiaramente sin da quando Cash, aprendo proprio con “Folsom prison blues” (già edita in un disco del ‘56), da un palco improvvisato per l’occasione nella caffetteria, canta i versi che descrivono l’omicidio di un uomo a Reno, da parte del personaggio del brano e il pubblico lo acclama inevitabilmente come fosse un eroe.
La scena si ripete quando in “25 minutes to go” ad un altro personaggio outlaw fa esclamare di aver riso in faccia allo sceriffo e poi sputato in un occhio. Ovazione totale. Tutta la scaletta è farcita di canzoni sulle difficoltà della vita, sulla droga (“Cocaine blues”), sui rimpianti (“Send a picture of mother”) e perfino sul suicidio (“The wall”), ma Johnny fu abile a sciogliere la tensione, mettendo dentro qua e là anche simpatici episodi come, ad esempio, quello che riguarda un vecchio cane (“Dirty old egg-sucking dog”).
Il pezzo più toccante, tuttavia, è probabilmente la finale “Greystone Chapel”, scritta da Glen Sherley, uno degli “ospiti” della prigione di Folsom. La sera prima dell’evento fu fatta ascoltare a Cash che la inserì volentieri, in fretta e furia, nella set list del giorno per cantarla per la prima volta davanti al suo emozionatissimo autore. Fu un omaggio importante che chiaramente contribuisce ancor di più al mito di un album per certi versi irripetibile (l’esperimento fu duplicato a San Quentin l’anno successivo, ma con minor successo). Ad onor di cronaca, coprotagonista della scena fu anche l’amata June Carter, con la quale l’artista si sposò proprio quell’anno e che ebbe un notevole ascendente positivo per la sua disintossicazione da anfetamine.
Concludo evidenziando come la Sony Music Entertainment non ci mise poi molto a capire che quel concerto da lei osteggiato, una volta inciso, sarebbe diventato un best seller di sempre. Per fortuna, aggiungiamo noi.