John Shirley – Cuore Punk recensione del libro.
“Proprio come i Sex Pistols non furono la prima band punk ma agirono come catalizzatori per l’intero movimento, John Shirley ha catalizzato l’intero movimento cyberpunk. Un uomo nato a Portland che ha capeggiato una band punk mentre scriveva racconti di fantascienza come lavoro regolare, Shirley è riuscito a ispirare molti degli altri talenti con il suo stile violento.”
Paul T. Riddell
Non ho mai amato molto né i film cosiddetti ad episodi, né tanto meno i libri di racconti. Le eccezioni sono molto poche e limitate ad alcuni racconti di Asimov, Lovecraft, Welsh e Sir. Arthur Conan Doyle. La motivazione è semplicemente imperniata sul dover subire epiloghi caratterizzati da una sensazione di frustrazione letteraria, che mi porta alla mente una percezione di inquieta incompletezza e talvolta un senso di frettoloso e forzatamente aperto finale.
Detto questo, il dover recensire un libro di racconti, inizialmente mi è risultato difficoltoso, soprattutto nel cercare di non cadere nel soggettivo, ma al contrario, tentando di trovare il giusto metodo per poter dare legittimo risalto all’opera. Ispirandomi così al titolo “Cuore Punk” non ho fatto altro che utilizzare metaforicamente la nuova uscita della Shake Edizioni, come un vero e proprio cd post-punk.
Una volta entrato all’interno di questa forma mentis, sono riuscito a godermi i racconti attraverso uno schizzofrenico viaggio verso la fantascienza estrema di Shirley.
Il libro è composto da 10 folli tracce, in cui si ritrova l’animo compositivo dell’autore tra reminiscenze rinvenute dalle passate “Ossessioni” e dalle “Pantere moderne”. L’animo post punk parte, infatti, proprio dal passato musicale dell’artista, che non manca mai di elucubrare riferimenti più o meno velati al mondo musicale. Pur rimanendo dell’idea che spesso racconti brevi non riescano a fotografare adeguatamente un archetipo, come accade nel carpenteriano “Tricentenario”, devo ammettere che alcune delle track proposte, rappresentano un cult sui generis, come del resto l’introduttivo “Ciò che voleva”, narrazione protopunk su i Whistler, band di rock agonico. Il racconto vive attraverso immagini letterarie che suonano come musica, tra citazioni e rimandi ad Iggy Pop ed al primo punk, non solo per il rimando lessicale, ma anche per quelle atmosfere narrate dall’autore. Non mancano accenni pulp e fraseggi che sembrano uscire da un disco dei Dirty Rotten Imbeciles, una follia visionaria che mostra tempistiche Slipknotiane, trasformando la musica in parole dense e soffocanti.
Il trip arriva a toccare Berlin di Lou Reed, il glam rock dei New York Dolls, attraverso la poetica di “Ciccatrici” e classic cyberpunk di “L’aziendale”, spunto filosofico incastonato tra la dicotomia società-individuo.
Insomma un libro in/finito, che vive di ispirazioni continue ed interminabili voli pindarici. Un’opera che potrebbe benissimo essere collocata tra philip Dick ed Asimov, anche se il repertorio lessicale si avvicina più al nostrano Philophat o alla cultura brit-pulp.Un insieme di onirici personaggi che vivono sospesi su di una realtà non reale, tra rabbia e violenza tra no future e lotte disperate.