John Patitucci
Introduzione – Due parole sullo spenderne meno
Attenzione: qui si parla di fusion, croce e delizia di chi ama contaminare i propri gusti musicali, oasi ed inferno per quelli che, sperando in un disco diverso dal solito, tornano a casa con un CD scelto talvolta a caso fra quelli dei talenti -a volte sprecati, a volte no- che questo nuovo idioma di fine millennio ha prodotto.
Io sono da sempre fra coloro che, se dovessero scegliere un genere da buttar giù da quella torre di babele che è la musica, butterebbero senza dubbio un genere di acquirenti più che un genere musicale. Mi infastidisce chi si lamenta con piglio fantacritico e supponente discettando sulla pochezza di new age o fusion o via catalogando. Il bizzarro hobby di parlare troppo di qualcosa che di solito richiede silenzio è un passatempo che non paga perché, da un lato, parafrasando il “postino” Troisi, la musica non è di chi la fa, è di chi gli serve -ascolta ciò che “ti dà cose”, scarta il resto e non rompere troppo coi nomi, le correnti, gli stili…- e dall’altro rende virtualmente sordi -chi, ad esempio, bacchetta tout court la commercialità di un’etichetta come la GRP si perde CD come questo-.
Per questi frequentatori a tutti i costi di improbabili salotti musicali che spesso hanno i diffusori dietro al divano per questioni estetiche, notevoli -e vado a chiudere- sono anche le conseguenze sulla vista: si diviene miopi per l’incapacità di riconoscere ed accettare suoni nuovi e possibili strade lontane che si potrebbero percorrere in loro compagnia, ma si rischia anche l’ipermetropia quando, davanti alla novità, si tuona in solenni “roba che non dura” e frasi del genere (ascolta e divertiti, intanto! Quand’anche col passare degli anni ti si desse ragione, caro mio, potrebbero venirti addosso i bei ricordi di un buon disco seguito da altri meno longevi!).
Capitolo primo e ultimo – Vogliamo parlare del CD o no?
John Patitucci copertina del cdIn quel tempo (1988, dicevo) ascoltare la fusion era già diventata un’attività che, per i motivi esposti sopra, poteva creare dissapori di natura inutilmente intellettuale fra musicomani. Dalla pluripremiata ditta Chick Corea Elektric Band cominciavano ad uscire, per i primi voli in solitario, i supertecnici cuccioli del supertecnico pianista; questo CD è l’inizio dell’inevitabile brillante carriera solista del bassista John Patitucci, che con le iniziali che si ritrova faceva già sognare l’ideale passaggio di consegne col mito Jaco Pastorius.
E’ un disco magnifico, a parer mio.
E’ suonato a livelli tecnici e stilistici sempre vertiginosi da star di ogni ordine e grado che farebbero acquistare il CD ad occhi chiusi a qualunque amante del genere (Dave Weckl -l’altro talento della cucciolata “elektrica”-, Peter Erskine, Vinnie Colaiuta -oggi con Sting- e la stessa chioccia Chick Corea); contiene quasi esclusivamente brani originali dello stesso Patitucci, che si rivela da subito una gran bella penna oltre che un bassista assolutamente straordinario.
Una stesura armonica complessa e raffinata viene sostenuta da una notevole sensibilità melodica, sottolineata con forza dalla scelta di non avvalersi di un chitarrista utilizzando invece il basso Smith Jackson a 6 corde, dal timbro limpido e intrigante, con cui quasi tutti i pezzi vengono suonati sia per le linee di basso vere e proprie, sia per gli spettacolari assoli.
L’attacco di Growing, che apre il CD, mostra immediatamente l’impatto impressionante della sezione ritmica Patitucci-Weckl, ma il resto del lavoro è, da questo punto di vista, sempre dello stesso livello. Agli altri colori della variopinta tavolozza sonora del CD contribuiscono le tastiere, molto eighties, di John Beasley e Dave Witham e, nei brani più acustici, il piano di Corea.
C’è dentro tanta fusion e tanto jazz: la già citata Growing farà venire in mente a qualcuno il Metheny di quei tempi (e di questi tempi, talvolta), e se proprio vi piace fare di questi confronti troverete anche qualche spruzzata di Zawinul o di latin, nonché il solito Corea; fermatevi qui, in ogni caso, perché questo CD ha dato il via ad un musicista dotato di testa e mani proprie, già in grado di proporre con autorità momenti di grande jazz, come nella efficacissima Searching, finding, affidata sapientemente al sax di quel Michael Brecker di cui tantissimi amanti della musica conoscono la grandezza senza sapere chi sia -basti l’esempio dello strafamoso attacco di Your latest trick dei Dire Straits, ma fare un elenco renderebbe quest’articolo impubblicabile… 😉 -.
Se non si fosse capito il concetto, chiudo con chiarezza: un CD da cercare, comprare, ascoltare, riascoltare e possedere.
E chiamatela pure fusion, ma prima di storcere bocca e naso drizzate le orecchie: per la serie “più sani, più belli” farete una smorfia in meno e vi sentirete meglio!