Jena “Uomo da corsa”, recensione

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È sempre difficile parlare di un singolo, perché ho sempre pensato che non riesca quasi mai a definire l’anima reale di un artista.

Un singolo e come limitarsi ad osservare un cubo privo della sua profondità; un punto di osservazione limitato e angusto. Pertanto, per coerenza, avrei dovuto evitare questo articolo ma… il mio ipersoggettivo amore adolescenziale per i Black vomit non mi ha fatto desistere.

Infatti, torna nel mio stereo Jena, voce del punk varesotto, oggi illuminato da luci e tinte differenti da quelle della Paranoia Kaliforniana, proprio come ci mostra l’impronta new wave dell’ Uomo da corsa. La traccia va a mescolarsi ad un pop punk scarno e per certi versi armonico, in cui la linea melodica avvicina la voce all’animo combattivo, pronto a cedere il proprio ego alla tentazione di lotta nel tentativo di ridisegnare la propria libertà.

Il brano restituisce una Jena lontana dai suoi scheletri nell’armadio, pronta però a raccontarsi mediante intime atmosfere rivisitate in Mai, in cui il passato rimane raschiato e racchiuso in quell’armadio da cui estrarre le vesti di una maturazione, o se preferite, di una coraggiosa diversificazione stilistica, in cui la necessità del punk lascia il posto ad un nuovo mondo, atto anticipatorio di Bruklin, full lenght che si spera possa confermare le sensazioni lasciate da questo singolo.