Jan Lundgren – European Standards,, recensione
Capitano con una frequenza meno alta di quanto vorremmo, anche se comunque capitano. E’ però “quasi obbligatorio” che Music on TNT vi segnali uscite come questa, perché attraverso lavori e progetti così si contribuisce a portare avanti un jazz vitale e ricco.
Jan Lundgren è già conosciuto da tutti voi; ne siamo sicuri per via del fatto che avrete sicuramente già letto (alla peggio lo avrete fatto tra un paio di minuti) la recensione di Mare Nostrum sulla vostra adorata webzine. Qui la formula del trio è proposta nel senso più classico e classicamente jazz del termine, con un progetto interessante, non rivoluzionario né devastante ma assolutamente, pienamente riuscito ed efficace: la riproposizione di canzoni più o meno famose della tradizione musicale europea.
Si passa per molte nazioni; l’apertura è decisamente scintillante, grintosa e diretta: Computer Liebe, invenzione dei Kraftwerk dal riff così accattivante e cristallino che i Coldplay ne hanno fatto un brano “nuovo” (riprendendone anche l’armonia in parte nella strofa) senza che quasi nessuno si accorgesse. Si prosegue poi nel viaggio con un suonare che incanta, sciolto, fluido, nitidissimo, netto eppure in perfetta sintesi con la leggerezza con cui viene proposto.
Ecco i Beatles, in una bellissima riedizione di Here, There and Everywhere. Ancora tanta melodia europea a seguire, ed ancora un’intatta capacità di suonare in tre, di fare jazz improvvisando e ritornando al centro della canzone senza che la distanza tra creare e riprodurre porti strappi. Si arriva così all’Italia, omaggiata però di due brani, due eccezionali versioni di Reginella e Il postino. Va detto che il secondo brano fa commuovere una buona metà degli italiani alle prime sei note, ma perché questo accada è altrettanto vero che l’esecuzione deve saper liquefare l’italica lacrima riportando la retrostante memoria emotiva nelle atmosfere che quel film ci ha regalato; il trio riesce anche qui nell’intento senza nessuna difficoltà, concretizzandosi di fatto come un vero e proprio trio europeo, capace cioè di identificarsi per riferimenti culturali non a nazioni di provenienza dei musicisti ma all’Europa intesa come luogo atomico, semmai federato. Questa è forse una novità importante e caratterizzante, sebbene non sia in sé nuova; infatti proprio qui si avverte uno dei punti di contatto che questo lavoro ha con quelli di un altro famoso trio moderno che purtroppo esiste solo nel passato, quello di Esbjorn Svensson: una naturale vocazione e collocazione al di sopra delle nazioni e dei generi, senza lo snobismo di chi rifiuta connotazioni ed anzi con la freschezza e la creatività di chi vuole accoglierne molte.
Una registrazione di coerente pulizia e qualità complessiva contribuisce a fare di questo lavoro quel che tradizionalmente viene definito un must, ma che in questo caso rinunciamo volentieri a definire, perché averlo non è un dovere: è un diritto!