Il Parto delle Nuvole Pesanti

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Forse qualcuno si scandalizzerà sapendo che la prima volta in cui la mia strada si è incrociata con Il parto delle nuvole pesanti è stato a fine dicembre 2008… alla veneranda età di 34 anni suonati. Il perché di questo increscioso ritardo è in parte dovuto al mio interesse solo parziale nei confronti di una tipologia di musica, che abita attorno al quartiere del folk rock, nonostante poi il mio lavoro mi abbia portato a recensire dischi e live di decine e decine di folk band. Un altro elemento di non poco conto è senza dubbio una buona dose di sfortuna; infatti nonostante tutto, la mia curiosità nei confronti di uno dei più geniali ed affascinanti nomi di battesimo di una band nostrana, è sempre stata ostacolata da eventi inusuali, che mi hanno portato alla mente il Bcult film “La casa stregata” di Bruno Corrucci, in cui il protagonista non riesce a consumare il matrimonio, per una serie di incredibili e surreali vicende.

La lunga attesa ha senza dubbio creato in me una forte aspettativa che è stata solo in parte nutrita. Lasciando fuori dal foglio word l’inevitabile soggettività d’intenti, è innegabile che “ Slum” rappresenti una piccola gemma che ogni amante del genere ha l’obbligo morale di possedere, con la sua mescolanza folk-etno-teatrale, che ci porta all’interno delle enormi baraccopoli, in una esistenza fatta di paglia, legno, stracci e tubi rotti, in una disagiata realtà in cui le condizioni di vita risultano estreme a causa di carenza ed estrema povertà.

Ed è proprio in queste slum periferiche che si ambienta il concept album del Parto delle nuvole pesanti, tra drammaturgiche enclave recitative e brani d’alta scuola. L’album ha il suo principio con “Uomini stupidi”, abile nell’introdurre immediatamente uno sviluppo narrativo ricreato attorno brevi narrazioni in bilico tra deprivazione e speranza, tra violenza e lotta per la sopravvivenza, come nella straziante “Figghiuma”, in cui il doloroso suono di violino si sposa ai lancinanti giochi vocali di De Siena e Koundoul, i quali aprono alla teatralità esplicitata nel bonus dvd. Con la sapienza dell’ accortezza artistica, il pathos è alternato a sottili fili di speranza come avviene con la bella track “Acqua”, in cui un semplice e delicato arpeggio riesce a rasserenare gli animi, attraverso una ridondanza lirica e sonora che funge da culla alla sussurrata parte vocale. Continuando con la curiosa alternanza recitato-cantato, l’album si dipana attraverso ad un meltin pot si sonorità, ghermendo estratti di bossa nova come nell’animalista “Bossa Africana”, sino a rasentare l’interesse tradizionale verso modalità trallallero, come accade ne “Il pesce” forse più adeguata alla funzionalità istrionico-teatrale che non al puro ascolto.

Un disco che riesce nel suo complesso a definire un viadotto tra il sud Italia, perfettamente rappresentato dall’uso riuscito del dialetto, e l’Africa, rappresentata con le sue tradizioni, le sue sonorità e le sue parole. Nel suo insieme l’armonizzazione tra recitato e musica appare lineare e ben definito, grazie anche alla regia di Milvia Marigliano, protagonista di monologhi d’autore di rara intensità. Un Lp che nel suo piccolo farà scuola ai molti che anelano a diventare folk-rock band.

TRACKLIST:

“Uomini stupidi”
“Diciammillu”
“Il vampiro”
“Figghiuma”
“Acqua”
“Villaggio turistico”
“Bossa africana”
“Ambulanza”
“La peste”
“Furbo e fesso”
“Il pesce”
“Gli amanti”
“Il funerale”
“Mi presento”
“Rahid”
“Slum calabro”
“Mirna”
“Da una città all’altra”
“Acqua salata”
“Prova a respirare”
“Jungial”