Il pan del Diavolo “Folkrockaboom”, recensione
Pur tralasciando poco utili dietrologie, ogni tanto credo sia utile alzare la voce polemica contro un mondo che ascolta troppo i talent dal proprio divano e poco si inoltra tra le note dei club.
Non ci sono dubbi nell’affermare che in questi ultimi lustri la Trinacria abbia dato i natali ad interessantissime band atte a popolare il fervente underground sonoro. Infatti, molte volte Music on tnt si è ritrovata a parlare di artisti siciliani pronti a raccogliere le polveri del sottosuolo, per restituire all’ascoltatore progetti di spessore che, se avessero avuto il dna d’oltreoceano, avrebbero potuto anelare ad una maggior visibilità.
Quando qualche anno fa vidi per la prima volta Il Pan del Diavolo, mi innamorai, non tanto della loro musica, quanto della loro presa live, così elaborata e semplice all’unisono, in grado, proprio come accade con le loro partiture, di raccogliere influssi di strada ed arte cantautorale.
Ancora una volta edito da La tempesta Dischi, ecco in arrivo Folkrockaboom, terza fatica del combo, armato di idee sviluppate e maturate dai precedenti dischi, e arricchito da sensibili mutazioni espressive che sembrano migliorare l’iter artistico, senza dissipare gli intenti inziatici. L’album mixato da Craig Schumacher, sembra portare con sé polveri d’oltreoceano, tra istintività nuda e visioni senza nome. Un percorso in grado di affrontare un poliedrico andamento emozionale, tra tinte nereggianti ed aperture ragionate.
Un disco che, rispetto agli esordi, sembra voler mitigare la dinoccolata composizione punkkassa per investire attimi gracili in una disposizione vicina al mondo cantautorale, reso inusuale dai contorni west, dalle sporcizie blues e dai rimandi al “figlio unico” della musica autoriale.
L’opera terza non manca di andamento desertici (Folkrockaboom ), né polveri sonore ( Mediterraneo) che guardano ad un country folk, intercalato su andamenti iberici ed impianti tarantini ani. Tra stop and go, ripartenze e rimandi curiosi verso gli albori Litfiba, gli animi si accovacciano attorno a Vivere fuggendo, traccia surreale e metaforica, dal più facile ascolto.
Le dita accarezzano la chitarra nel un dolce risveglio di Cattive idee, poste tra “porte socchiuse” ed “ostinazione”, che porta alla mente andamenti tiromanciniani con Il meglio e Un Classico. Ad acuire l’emozionalità arriva poi l’urlo egocentrico di Io mi do e il vintage alternativo di I peggiori, atti anticipatori di Nessuna certezza, in cui un pattern Everlast si chiude su simulazioni in clapping hands ed inusuali approcci corali.
A chiudere il disco è infine Il domani realizzata in featuring con i Sacri Cuori, abili a portare con se una curiosa e riuscita introduzione lisergica, capo di un tracciato sonoro ampio e dilatato che riesce a raccontare in maniera accorta una sorta di visionarietà offuscata attraverso influssi e spezie diversificate; una curiosa mescolanza tra deliri cripto prog e strutturazioni vicine alla tradizione scozzese, in un’amplificazione emozionale sorprendente, pronta ad essere un ridonante ed aperto concetto strumentale.
Chi conosce Il Pan del Diavolo avrà di che godere di questa nuova creatura…pronta ad affrontare nuovi e necessari target.