Il lungo Addio “Pinarella Blues”, recensione
…e così, finalmente, Il Lungo Addio giunge all’atteso e meritato debut, grazie alla collaborazione sinergica tra TB Records e Wallace Records, pronte a dare consistenza alle idee geniali, ironiche, oscure e per certi versi folli e fuori tempo di questo misterioso cantore. La proboscide torna dunque a muoversi tra i tavoli di un malinconico passato, il cui sguardo obiettivo sembra porsi attraverso un orizzonte trasversale, qui arricchito di lievi sfumature, pronte ad amplificare il lavoro svolto fino ad oggi.
Infatti, sin dalle prime note, si arriva a percepire un moderato cambio di rotta che, pur migliorandosi, con la giusta cautela, riesce a mantenere intatto il proprio ego espressivo, proprio come dimostra la titletrack, riuscito incipit, in cui la consueta ironia si addentra in un mondo visivo e visionario, dettato da anime retrò e movimenti cadenzati.
Il mondo de Il Lungo Addio sembra parzialmente deformarsi sotto gli influssi CCCP di Agosto, da cui si erge un aurea new wave legata ai primi anni’80. Minimalismo fuso ad immagini meravigliosamente restituite da una lirica sincopata ed instabile.
Sul medesimo piano sembrano nascere gli istinti onirici di Il bagno Franco, curiosa mescolanza di soliloqui chitarristici e divertite espressioni corali, e L’ultima fotografia. Infatti, la traccia sembra volersi vestire di spezie easy listening, tra accordi aperti e ridondanze vicine al mondo d’orato degli anni’60, alimentate da un’inusuale l’incursione destabilizzante dei piatti, che forniscono al brano un andamento solo apparentemente lineare.
A chiudere il disco è il curioso rimando al recente passato del cantautore, che ancora una volta si ritrova nell’atrio di un hotel, per raccontarsi attraverso un malato andamento blues dalle corde stoppate. Un mascherato romanticismo vintage dagli istinti cantautorali, pronti a ridefinire un disco in grado di tessere una denigratoria tela attorno al nostro reale, bagnato dalle onde di una scostante (im)precisione nuda e profonda.