Il lungo addio “Musica, piadine e misantropia”, recensione
Musica piadine e misantropia rappresenta in maniera sintetica e metaforica il mondo stranito e per certi versi misterioso de Il lungo addio, progetto musicale che i nostri lettori hanno imparato a conoscere sul finire del 2012. Dopo l’articolo di pochi mesi addietro, infatti, torniamo ad occuparci di una self produzione del impenetrabile mondo dell’autore di Cesenatico. Un mondo il cui approccio musicale non appare catalogabile in maniera chiarificatrice. Difatti sembra indubbio la reale difficoltà per l’ascoltatore superficiale nel capirne le reali sfumature di grigio. Sensazioni e nuance che potrebbero essere semplici percezioni dovute alla necessità di commentare, oppure appartenere ad concetto ricercato e meno banale di ciò che può apparire. Una scelta radicale e ben precisa in linea con la grezza voglia di costruire qualcosa di nuovo, attraverso mani creative e disinteressate a ciò che potrà essere, perché ascoltando le composizioni del misterioso uomo con la maschera, si continua a distinguere la necessità incombente di raccontare quello che spesso rimane nascosto. Esplicito esempio nel criterio iniziale è proprio l’ironia folle di Transexual esperience, traccia di vita vissuta, trasformata (tra sampler ed elecro-kraut) in una geniale composizione atta a raccogliere una visione qualunquista e populista di un mondo spesso incoerente ed ipocrita. Una realtà che si concretizza nel non sense di Hotel Silver, la cui hall appare un luogo magico in cui si concretizzano i propri incubi di desolazione, definiti e nascosti dalle apparenti sensazioni di essere partecipi ad un mondo affollato.
L’autore racconta poi con la profondità vocale de Fino alla fine di Cervia uno specchio del semplice lato oscuro dell’apparente felicità. Una narrazione di viaggio che sembra non voler compiersi, proprio come una sorta di angosciante itinerario solitario, in cui lo sguardo si focalizza sul concetto di caducità ed attesa, improvvisamente immersa in viali vuoti che accompagnano uno sdoppiamento vocale pronto lascia spazio Uomini. In quest’ultima la voce si abbassa di un ottava in maniera funzionale all’ironico machismo demodè che racchiude un curioso ensemble di accorti clichè, pronti a scivolare sulle corde toccate in maniera meccanica.
A chiudere questa sorta di extended played è infine la ballad Pastis , traccia in cui la solitudine si perde tra ironia e melanconia quasi scordata, tra metafore curiose e ben assestate nel terreno in cui vuole seminare quest’uomo con la maschera.