Horrid “Sacrilegious Fornicatio”, recensione
Tra le ali nere della Dunkelheit Production, da qualche giorno si stagliano le note death metal di Sacrilegious Fornication, ultima opera degli Horrid, storica band italica attiva dai primi anni ’90. Il power trio lombardo giunge, dunque, al terzo full lenght, accasandosi tra le stanze dell’interessante label di Aachen, sempre più attiva nel metal estremo.
Il disco, registrato ai Sunlight Studios da Thomas Skogsberg e masterizzato all’Occultum Studio di Biella, racconta, attraverso nove tracce, un processo di fisiologica maturazione artistica, per una band che da inizio alla sua ultima creazione attraverso un songwriting che non dimentica i cliché del genere, né l’importanza essenziale di una cover art che, mai come nel death e nel brutal, definisce un essenziale richiamo a tematiche e stilismi. Infatti, il platter ha inizio proprio dalla sua opera di art work, antro ben definito di un booklet strutturato alla perfezione, in cui l’arte di Christophe Thorncross Moyen pare in grado di inasprire le visioni orrorifiche e malefiche raccontate dalle liriche. Un opera pittorica perniciosa, dettata da istinti e tracciati nervosi e granulari, atti a definire un arguta metafora delle tematiche trattate.
Se ancora ci fossero dubbi sul motore che alimenta gli Horrid l’introduzione narrativa d’incipit, toglie ogni perplessità. Il campionamento di Satan’s Blood di Carlos Puerto, ci introduce nella distorta e claustrofobica vocalità nera e cruenta di Max, bravo ad avvolgere senza mezzi termini l’ascoltatore. Un luciferino sentiero in cui il drum set mostra la via della perdizione definitiva, che, tra piccoli cambi direzionali, giunge ad una invocatio ricostruita dal caotico vortice sonoro.
Proprio da questo turbinio tenebroso si erge il Leviatano, mitologica figura, allegoria di quel caos primordiale, qui tenuto a controllo dalla cupezza espressiva della linea di basso e dal devastante blasting.
L’ascoltatore però non avrà modo di rimanere soffermo tra le onde degli oceani, ma dovrà mettere in atto sistemi di osservativa difesa contro scarafaggi, sangue sgorgante e sacrifici gore che la band porta tra le piaghe della Sphagia, tra rituali orrorifici e negromanzia dipinta da oscure tonalità cromatiche.
Quello degli Horrid appare sin dal primo ascolto un viatico denso di follia e lucidità, che trova nel gore un orizzonte calcolato , proprio come dimostra Demoniac Sadocarnage, i cui Labirinti attraversano fiumi putrescenti, enunciati mediante un’arte musicale visionaria che si fa più semplificata nel riffing di Blood on Satan’s Claw, in cui la vocalità del frontman appare perfetto anello di congiunzione tra le toniche e la sei corde.
Se poi con Goddess of heretical perversity gli accenti si fanno più brutal, è con la magnifica The fire of impenitence che la band raggiunge un interessante apice espressivo. Pelli isteriche e visualizzazioni ipnagogiche conducono l’astante ad una veloce discesa tra le mani di Adramelech, cancelliere di quegli inferi raccontati dalla ricorsività death di Johan Jannson dei Interment.
A chiudere i 36 minuti di violenza narrativa è la magnifica esecuzione di Massacra, cover dei Hellhammer, rivisitata dalla band milanese attraverso sensibili citazioni speed trash, intercalate verso auree blackned death, reali venature conclusive di un album davvero sorprendente.
Tracklist
1. Sacrilegious Fornication 5:16
2. Vortex of Primordial Chaos 4:24
3. Necromancy 3:46
4. Demonic Sadocarnage 4:50
5. Blood on Satan’s Claw 4:10
6. The Fire of Impenitence 4:12
7. Diocletianic Persecution 3:54
8. Goddess of Heretical Perversity 2:56
9. Massacra (HELLHAMMER) 3:10