Horowitz Plays Chopin Vol 1
L’accostamento dei nomi di Fryderyk Chopin e di Vladimir Horowitz puo’ sembrare oggi scontato e banale: per il grande pianista ucraino naturalizzato americano, oggi scomparso, un po’ tutta la musica era, in barba a ogni filologia, romantica, e questo rende oggi discutibili alcune sue interpretazioni di Mozart piuttosto che di Clementi o Scarlatti; ma proprio per questo doveva sposarsi perfettamente con la musica di uno dei compositori noti al grande pubblico come romantico per eccellenza.
Questa simbiosi, di piu’: questa osmosi fra il compositore polacco e Horowitz non ha dato pero’ subito frutti maturi, esiti sublimi: c’e’ una notevole differenza tra lo Chopin delle registrazioni degli anni trenta, quaranta e cinquanta – ancora troppo legato a una tradizione virtuosistica di tipo esibizionistico, a volte lisztiana – e quello delle incisioni posteriori; questo cd RCA gold seal ne e’ un esempio molto, molto eloquente.
Qual e’ il principale miracolo che Horowitz opera qui, e che, a eccezione forse del solo Sviatoslav Richter, non e’ mai stato ripetuto? Scriveva Andre’ Gide che la musica di Chopin da’ sempre all’ascoltatore una impressione di improvvisazione
„parte dalle note“
sembrava ai presenti che non seguisse alcuna partitura, ma che appunto improvvisasse li’ per li’. Il miracolo di Horowitz, che l’ascoltatore puo’ sentire in questo prezioso disco, e’ proprio questo, e’ talmente tanto „entrato“ in quella musica da dare l’impressione di una estemporanea creazione, sembra che i pezzi nascano in quel momento, sotto le sue dita, e non siano stati suonati e riprovati migliaia di volte.
Questo aspetto, che certo non si insegna e non si apprende, ne’ si imita, si percepisce bene nella Polacca-Fantasia op.61, nella quarta Ballata op.52 e nella Barcarola op.60, facilitato e anzi invocato dalla fisionomia peculiare di questi pezzi, cosi’ aperti, cosi’ „flusso di coscienza“.
Davvero qui scompare letteralmente, come avrebbe auspicato Chopin, ogni residuo di virtuosismo esteriore, da atleta piuttosto che da poeta: qui Horowitz e’, bisogna riconoscerlo, vero poeta del pianoforte, non solo nei languori del Valzer op.69 numero 1 o della prima Ballata op.23 o dello Studio op.25 numero 7, ma anche nelle scivolose acrobazie del giocoso Studio op.10 numero 5 – celebre perche’ composto per i soli tasti neri dello strumento – e della Grande Polacca op.22.
E c’e’, naturalmente, il fraseggio, reso con insuperabile maestria: sia Chopin che Horowitz consigliavano ai propri allievi (Chopin insegnava come si sa pianoforte, non composizione) di ascoltare i grandi cantanti, proprio per capire come si deve suonare; quello che si sente nell’Andante spianato che precede la Polacca non e’ piu’ allora uno strumento, bensi’ una voce che canta, con l’accompagnamento di pianoforte.
Quanto ai timbri, che per ogni pianista che si avvicini a Chopin piuttosto che a Skrjabin sono un vero banco di prova, non si puo’ che lasciarsi incantare: bastera’ ascoltare il solo primo minuto della Polacca-fantasia per capire che un pianoforte puo’, e deve, essere anche questo: una malia di sapore sinfonico, una tavolozza in cui non c’e’ un colore uguale ad un altro.
Note tecniche. Registrazioni live (a eccezione dell’Andante spianato e Grande Polacca op.22). Ottima differenziazione timbrica e dello spettro dinamico.