Homicide Hagridden “Effect Lucifero”, recensione
Premessa
Non si può e non si deve considerare la musica fluida un veicolo sicuro; a mio avviso, infatti, non è, e non deve essere mezzo di comunicazione, né con la stampa né con i fans. La musica fluida racchiude tristezza, vacuità e anelante voglia di arrivare. Ma non siamo più negli anni ’80, quando le band pronte ad emergere erano quantitativamente molto più limitate di oggi.
Oggi, grazie o per colpa della tecnologia, nascono più band che funghi… e molte hanno i pallini bianchi su fondo rosso.
Da anni, ormai convinto del mio credo, non recensisco più musica fluida, e chi ci segue lo sa, perché un corpo magro, nudo e lontano non ha la possibilità di essere visto, vissuto e storicizzato, anche a causa dell’incredibile numero di proposte che ogni settimana…anzi ogni giorno giungono in redazione.
Una regola ferrea che ha un radicato significato. Quello stesso significato che va a perdersi nel nulla, perché una serie di file con info sheet e jpg… beh, lasciatemelo dire, non giova né a chi come me deve disquisire dell’opera né tanto meno alle band.
Soluzione al problema
Una regola che talvolta però infrango (diciamo di rado…molto di rado) nel tentativo di confermarla. Oggi, proprio nello sforzo di dare ancora energia a questa riprova, sento l’urgenza di parlare di Effect Luciferus, seconda opera dell’ensemble torinese Homicide Hagridden.
Ma…Perché parlarne? Ed in che modo parlarne?
Due semplici quesiti.
Parlarne perché nell’underground metal italiano gli HH riemergono dagli anni’90 con un disco straordinario, ricco di sfumature thrash che, volenti o nolenti, ci riportano al mondo degli Slayer. Un sound fortemente ispirato alla band losangelina, in cui la linea vocale del frontman appare vicina alle estreme qualità del miglior Tom Araya. Un parallelismo inevitabile, probabilmente fastidioso, perché non credo di essere né il primo né l’ultimo a dare risalto a tali similitudini, ma attenzione, siamo ben lontani dal “scimmiottismo” criptotelevisivo, la voce rappresenta il proprio stile, riuscendo a rapire attraverso modulazioni differenziate, che definiscono l’ultimo full lenght come un piccolo granulo metal.
Invece, il ‘problema’ di come parlarne mi è rimasto in testa per qualche giorno…poi ho deciso di salire a bordo della Delorian e riportarmi nel 1984, quando iniziavo a capire e comprendere il mondo metal attraverso i pochi dischi introvabili, riviste di settore, ma soprattutto mediante il famigerato tape trading. Cassette vergini incise alla bell’è meglio, scambiate con la curiosità di capire, scoprire, godere di musica di cui sapevo a malapena i titoli scritti in maniera pseudo comprensibile dal compagno di banco.
Così ho deciso di rimanere all’oscuro. Niente testi, niente booklet, niente web, niente sonorità pulite, niente cover art (scoperta solo nel momento di pubblicare l’articolo)…solo i titoli e la musica. Se poi il disco arriverà in redazione cercherò di integrare alcune notizie, ridefinendo una nuova modalità dinamica di scrivere per il web… altrimenti bene così!
Recensione
Amo, ho amato e amerò per sempre gli Slayer… quindi, ho inevitabilmente amato questo disco dedito ad un passato musicale che mantiene vivi i ricordi. Gli stessi ricordi che mi riportano alla mente reminiscenze universitarie legate all’Effetto Lucifero, esperimento di psicologia dei gruppi; curiosa fonte di ispirazione anche per Oliver Hirschbiegel ed il suo The experiment. Un ambiente carcerario, ancora una volta leitmotiv (Repentless) con le quattro spade incrociate, che ci introduce in una struttura non troppo discosta dalle nuove forme nu metal.
Una radicata rabbia espressiva (4 Letters) ed uno stilismo ben preciso ( Remembrance of Me) che si appoggia ad una continuativa struttura (anche) mediante linee armoniche che stonano con l’invasiva presa easy. Non mancano, però, certo ottime svisate chitarristiche e battenti drum set, pronti a lanciare l’interessante enclave strumentale che ci porta verso un apertura in stile Tankian, mediante una voce poliedrica e a tratti impeccabile, proprio come la bass line.
Con Regime si viaggia a sud del paradiso attraverso striature corpose e grezze, mentre la profondità espressiva di Raped, rende aumentativa la realtà di stop and go e blast beat, lasciando spazio ad una diluita parte chitarristica, in cui poche note solitarie vengono riavvolte ad un trend heavy. Il lungo ponte sonoro ci porta poi verso la perfettibile Lie to an Angel e Lethal Agreement , in cui si torna alle striature posthc-thrash, mosse da una cieca rabbia che si fa osservativa nella parte centrale di un curioso dialogo di note dai rimandi mediterranei.
Tra le migliori tracce, appare senza dubbio Purify, in cui la voce si avvicina al secondo mondo Carcass, qui in armonia con una traccia incastonata tra strutture aperte e maggiormente armoniche, ma comprendenti un’ottima parte iniziale, cupa, ossessiva e claustrofobica, che si veste di sguardi nordici con il tribalismo terminale di The Unsaid
Insomma, un disco che vive come un riuscito climax narrativo.
Tracklist:
4 Letters
Remembrance of Me
Regime
Raped
Lie to an Angel
Lethal Agreement
Purify
The Unsaid