Hagel Stone “Where is yout god now?”, recensione
Il mio primo approccio con il cosiddetto Epic Metal avvenne nel 1987 con Fighting the world dei Manowar, mostri sacri del genere. Pur non arrivando mai ad apprezzare appieno questo sottogenere, ho sempre pensato che nascondesse una reale passione artistica.
Da allora tutte le band che ho incontrato (volente o nolente) hanno (quasi) sempre mostrato un intensità artistica e una cura verso il songwrinting rara e ben armonizzata. Pertanto, quando in redazione giungono dischi etichettati come epic, non faccio altro che lasciarmi trascinare ai margini di quel rapsodico 1987. Infatti, proprio ascoltando i brani di Where is your god now? , debut degli estensi Hagel Stone, la mia mente ha trovato indelebili hook. Termini come “Carry on” e “Defender” hanno alimentato le mie reminiscenze adolescenziali, rinverdite proprio dal corposo riffing di The Anvil, meravigliosa traccia dall’impatto.
Il primo full lenght di questo tecnico quartetto nasconde al suo interno un anima fortemente radicata proprio negli anni a cavallo tra il finire degli ‘80 e gli inizi artistici della golden age, come dimostrano i passaggi borchiati di Apocalypse, lungo brano di apertura, che promuove un curioso parallelismo sonoro con il secondo capitolo di Keeper of the seven keys.
Anche se l’apporto delle pelli non si mostra sempre in grado di ricreare il necessario pathos, la band appare pronta alla nuova sfida, attraverso composizioni solide, in grado di rimanere in equilibrio tra easy listening e grinta narrativa. Un ottimo tracciato sonoro dedito a spezie power metal ( Hey!!Can you tell me?)) ed intarsi progressivi ( The power of falsh), fortemente incentrati sul di un perno epico ( Hunting ground)
Un disco che pur nascondendo sbavature estetiche nel booklet e arditi proponimenti ( Razzo Rosso), cela tra le sue partiture un mondo mai tramontato, proprio come dimostra Army of chaos, in cui l’ottimo riff sembra definirsi come collante di una struttura emozionale convincente e vincente.
Un disco pieno di sensazioni che inevitabilmente subiscono l’accorto influsso dei grandi maestri epic, tra intarsi di tastiera, sguardi vintage e coraggio espositivo.