Glass Cosmos “Disguise of the species”, recensione

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Chi ben comincia è a metà dell’opera…
Proprio da questo proverbio italiano proviamo a partire per parlare dei Glass Cosmos, promettente quartetto alt(-pop) di Bergamo, attivo da solo un triennio.

Undici tracce intarsiate di groove immerso in sentori da nuova onda e sonorità di fine millennio, al servizio di un curioso e curato songwrinting. Storie complesse e ragionate di una surreale e kafkiana mutazione della specie, resa (ahimè) poco efficace da una cover art non troppo riuscita. Un disco abile a rimestare sensazioni oniriche e visionarie, celate da un riuscito incipit, in grado di alimentare le sensazioni emozionali attraverso le immediate sonorità di Milestone, dominata, con reale caratura, dalle linee di basso, abili a rigenerare il sound portante, mediante le strofe pronte ad ergersi verso un approccio alt-rock, qui disciplinato da andamenti diretti e a tratti easy listening. Mentre l’uso dei piatti arriva a preparare in maniera lineare un outro narrativo non troppo lontano dalle aperture di inizio secolo, i giochi di eco e riverberi aprono la via a Libervile, delizioso incrocio tra Liquido e venature che non disdegnano l’alternative più facile dei Grandaddy. Il brano, di certo tra i più convincenti dell’album, racconta con delicatezza emozionale accordi semplici, in cui backing vocals riordinano le direttive, talvolta battute dalla distorsione alla sei corde.

Il singolare viaggio prosegue con il convincente approccio lirico di Last night i killed Godot, non supportato a dovere da un arrangiamento di livello, a differenza di ciò che accade con gli atteggiamenti eighties di Shine in its own light e con la riuscita It’s won’t be long till dawn . La pulita vocalità di Frankie Bianchi si avvicina a piacevoli lampi agogici , attigui ad un buon riffing e ad un’andatura post grunge delle pelli. A questi sviluppi si aggiungono persuasivi passaggi cripto heavy dalle sfumature indurite, mentre le toniche raccolgono rimandi new wave con New Shores, la cui alternatività di facile impatto giunge ad alimentare un curioso andamento ciclotimico, pronto a raccontare una piacevole ed immediata apertura Voalbeat.

Il lato b di questo viscerale debut si apre mostrando gli accenni oscuri e dilatati di The Bilderberg Club, magnifico tracciato musicale pronto a conquistare con le su armonie avvolgenti. Una ragionata assenza di parole, atta ad avviare uno sguardo attentivo verso l’arrangiamento cauto e ponderato, mezzo anticipatorio dell’hard sound punkettante di Redemption is a pathway to nihilism, sguardo limitato e diretto verso le armonie e alla filosofia dei pochi accordi. Il brano, arricchito da giochi vocali e da un andamento immediato, lascia spazio alla bass line di O tempora o mores, un po’ troppo scontata per lasciare il segno, e Slim Pixie, thin and Forlorn, che, tra l’imperante sezione ritmica e la linea canora, racchiude un riff vicino all’arte di Brian Holland.

Dunque…un disco piacevole, che scivola veloce tra ottime intuizioni e le fisiologiche ingenuità, di certo perdonabili, in quanto figlie del voler dare urgenza al proprio ego.