Giovanni Marton “Ogni sguardo non è perso”, recensione
Osservando la copertina di questo Ogni sguardo non è perso ho avuto la sensazione di deja vù legato all’iconografia dark new wave di inizio anni ’90, complice l’estetica di questo giovanissimo polistrumentista arrivato al suo primo full lenght. Infatti, dopo l’extended played in cui si rifiutava di sognare l’estate, Marton mostra di sé stilemi cantautoriali piuttosto maturi. L’autore veneziano declina la sua arte musicale per la Seahorse records, e già di per sé la cosa dovrebbe far pensare, vista l’ottima produzione di questi ultimi anni.
Un disco, le cui luci e le ombre, ben espresse dallo scatto in cover art, ci invitano ad un ascolto che risulterà coerente con la filosofia musicale a tratti performante e di certo consapevole delle sue tonalità. L’opera, introdotta da una sognante citazione di Goethe, propone quattordici canzoni. Troppe. Infatti proprio l’eccessiva lunghezza di questo formulario di estetica stagionale causa una perdita di verve e di interesse proprio sul lungo tragitto, arrivando a diluire le buone intuizioni contenute nell’arte dell’autore, bravo a volere un booklet graficamente interessante nella sua espressione estetica.
La soffusa voce dell’autore introduce il suo primo racconto intimista ( Tormenta estiva) tra freddo arrangiamento e gli scricchiolii (pochi) del songwriting ( L’ultimo sole). Il basso diluito ci porta immediatamente in un rock folk dalle sporche corde del Sognare la serenità, elemento d’anticipo sulla recitante ed onirica Perdersi tra gli sguardi. Se poi interessanti episodi come Presi! e la piacevolezza pop di L’aspetto dimostrano che questo debutto sia quantomeno da ascoltare, il valore massimale si raggiunge con l’eterea La natura immortale del genere umano e con il vestito funk di Contro l’ordine, dimostrazioni esplicite che la bellezza narrativa della gazziana Nuovi sitemi stellari non appare un caso.
Un disco che promette buoni spunti futuri, peraltro già percepibili nelle piegature sonore che l’autore racconta nel suo voler essere wave pop. Un insieme di sviluppi espressivi mescolati a poesia post moderna e visioni immediate, atte a trascinare un implicito amore per il mondo barocco dei Bluevertigo, tra nereggiante electro pop e nuove onde musicali. Un disco dunque percepibile come sottile e a tratti coraggiosamente presuntuoso.