Giovanni Falzone Septet – Suite for Bird
Ho ascoltato Falzone per la prima volta un anno fa, più o meno, a Brescia, in una formazione molto peculiare, in cui, oltre al suddetto, militavano chitarre, percussioni, basso, batteria, didjeridoo, una voce narrante. In quell’occasione un jazz di facile seppur non banale ascolto, si mescolava a sonorità etniche, che spaziavano dall’Africa, all’Asia, al Sud America. In quell’occasione comperai uno dei CD in vendita alla fine del concerto. Lo scelsi tra alcuni titoli in cui Falzone suonava, e lo scelsi a caso, non conoscendo la storia di questo trombettista/compositore.
Non dirò molto sul musicista, il suo curriculum è impressionante e si può verificare presso il suo sito, e lo stesso si può dire per gli altri musicisti che prendono parte al progetto.
Questo Suite For Bird, come suggerisce il titolo, è un omaggio a Charlie Parker, genio assoluto che, attraverso l’evoluzione del Jazz in Be Bop, assieme ad altri eccezionali musicisti (Dizzie Gillespie, Thelonious Monk, Charlie Christian, e lo stesso Miles Davis che da lì prese i primi passi) elevò il Jazz, appunto, allo stato di arte, da musica “da ballo”, di puro intrattenimento quale era intesa fino ad allora.
Giovanni Falzone, che oltre ad essere un ottimo strumentista è anche un compositore fuori dal comune, struttura la Suite in sette movimenti, ogniuno dei quali prende vita e si sviluppa da un nucleo fondamentale estratto da una composizioen Parkeriana. Ecco quindi che il primo movimento prende vita dallo xilofono di “Now’s the Time”, il secondo da “Anthropology”, il terzo da “Scrapple from the Apple”, e poi, “Billie’s Bounce”, “Confirmation”, “Donna Lee”, “Au Privave”.
Non si deve pensare che queste siano coverizzazioni degli originali di Parker, ma la composizione, che si deve intendere assolutamente originale, prende spunto da questi atomi di musica, così come molta musica elettronica oggigiorno (mi si perdoni il paragone un po’ blasfemo) prende spunto da samples estratti da brani famosi del passato, e, nel migliore dei casi, li rende irriconoscibili. E’ così infatti che, per fare un esempio, “Scrapple from the Apple”, nel terzo movimento, viene completamente trasfigurata, rallentata, cambiata di ritmo e diventa, dal brano forsennatamente bebop che era, una ballad dolce e struggente, giocata su accordi che tengono in sospeso l’ascoltatore.
Se dovessi paragonare Falzone ad un più noto compositore Statunitense, direi che le sue composizioni riescono ad avere il respiro ed i colori, a volte persino l’andamento psicotico di Henry Thredgill, specie se si considera che anche a Falzone, piace giocare con strumenti un po’ fuori moda nel jazz moderno, ma non per questoinferiori o oggetto di una letteratura musicale e jazzistica di secondo piano, come il flauto, il sax baritono o lo xilofono.
Un disco godibilissimo in alcune composizioni, non di facilissimo ascolto in altre, in cui il Falzone si dimostra davvero un ottimo compositore, con una visione d’insieme fuori dal comune, in cui è difficile (ma non impossibile) distinguere le parti improvvisate da quelle nate sotto una struttura ferrea, in cui gli strumenti si ricorrono lasciando poco spazio al silenzio.
Se volete andare oltre i pochi nomi “alla moda” (senza nulla togliere comunque al loro talento!) e scoprirne di nuovi, cercate qualche disco di Falzone. Buona sorpresa.
Giovanni Falzone Septet
Giovanni Falzone -tromba e flicorno
Tino Tracanna – sax baritono e soprano
Gianpiero Malfatto – trombone
Carlo Nicita – flauti
Francesco Pinetti – vibrafono
Tito Mangialajo – contrabbasso
Ferdinando Faraò – batteria