Gianluca Magri “Reborn”, recensione
Dopo averlo incontrato in Redrumorder (con i Phaith), dopo qualche tempo torniamo a parlare di Gianluca Magri, questa volta protagonista di un project solo, nuovamente promosso da Red Cat Records Inst Fringe.
L’etichetta fiorentina, infatti, porta alle stampe un extended played strutturato attorno ad un’ossatura guitar oriented in cui si delineano sensazioni passatiste e piacevoli inviti al mondo virtuoso di Gary Moore e Joe Satriani, senza però dimenticare intuizioni acustiche e reminiscenze heavy. Un’originale impostazione che si mostrerà attrattiva non solo per tutti coloro che hanno vissuto il pieno degli anni’80, ma anche per chi si avvicina la genere con i suoi primi passi.
Il nuovo album (omen nomen) segna la “rinascita” del chitarrista italiano, qui pronto ad affrontare con tecnica ed idee un mondo nuovo, ottimamente sorretto da una cover art impeccabile tanto quanto l’impostazione minimal del font. Un’opera strumentale che mostra immediatamente i suoi denti affilati con la riuscita titletrack, da cui nasce un riffing avvolgente posto su di una sezione ritmica a tratti troppo marginle. Infatti, proprio il pattern sonoro su cui si appoggia la sei corde appare eccessivamente circoscritto, ma di certo funzionale ai passaggi aperti e virtuosi del frontman.
Il sound, pronto a correre sulla linea del tempo, va poi a calmierarsi con Cloudbreaker, la cui introduzione “Eaglesiana”, mediante arpeggi emozionali, funge da bridge per l’implosione in Slash style di una heavy ballad convincente, anche grazie ad un dna sonoro visionario e pronto a lasciare agli accordi inattese sensazioni di leggerezza. Un volo musicale in cui le note, pur prive di parole, parlano anche attraverso un finale ruvido che anticipa la perfettibilità di Snowballed, nella quale (ahimè) confluiscono strutture tipiche del più classico rock di stampo italiano.
Se poi con A.D.R. si torna sui giusti binari, è con la conclusiva Atlas Bound che Magri alza ulteriormente il livello emotivo, proprio grazie alla melanconia di un inatteso animo acustico, suono delicato ridefinito dalle dita sulle corde che di certo sarebbe piaciuto a Randy Rhoads.
Un disco, dunque, promettente, definito da meravigliosi giochi sonori pronti ad ipnotizzare l’astante riuscendo a fermare il caos di un mondo che quotidianamente ci avvolge nella sua velocità.