George Michael – Orchestral Tour – Live in Firenze, recensione.
Per spegnere la mia seconda candelina della collaborazione con questa rivista ho scelto un evento veramente speciale per me, recensendo per la prima volta un concerto al quale ho avuto la fortuna – almeno grande quanto quella che ho speso – di assistere. Se poi si aggiunge che George Michael è saldamente posizionato al primo posto nella mia ideale classifica musicale, direi che non potevo proprio esimermi dallo scrivere “qualche” riga (…chiedo già perdono per la lunghezza del pezzo) sulla prima tappa italiana del suo nuovo tour orchestrale, esplicitamente denominato: “Simphonica”.
Rispetto al programma del precedente “25 live”, la differenza di impostazione voluta dall’artista anglo cipriota è abissale. Intanto le location, assai più intime rispetto agli immensi spazi degli stadi. In secondo luogo, la set list prevede oltre alle sue canzoni (fra le quali diverse “minori”, mai suonate prima) un numero più corposo di cover di altri artisti, sia celebri (Police, Amy Winehouse, Stevie Wonder), sia meno conosciuti (Rufus Wainright) o ormai in dismissione da tempo immemorabile (New Order, Terence Trent’d’arby). In ultimo, ovviamente, il mood: tutto imperniato su torch song da sogno.
Ma veniamo alla serata…
Quando in Piazza Santa Croce le luci si abbassano, le grida salgono al settimo cielo, ma si tratta solo dell’arrivo dell’orchestra che si piazza ai posti di combattimento. Dopo 10 minuti di calda (sia reale che metaforica) attesa, arriva una bellissima auto nera di lusso fra gli strilli più acuti del solito che lasciano intendere che la star è finalmente fra noi.
Buio totale…
Gli archi iniziano a suonare le note di “Through” e George si piazza al buio sullo sfondo del palco fra due rami di luci intermittenti che ne lasciano intravedere la silouhette.
Questo pezzo concludeva emblematicamente l’ultimo album di inediti (Patience del 2004) lasciando quasi intendere, nel testo, che George non ne avesse più e desiderasse smettere. I fatti hanno smentito le sue rime ed il resto del concerto dimostrerà che è stato un bene per tutti.
Lo swing uptempo di “My baby just cares for me” (da “Songs from the last century”) ed il piacevole ripescaggio di una nostalgica jazz ballad come “Kissing a fool” (da Faith) fanno subito capire che “ci sarà da soffrire” parecchio.
Michele (come, a più riprese, viene simpaticamente apostrofato da una spettatrice) ha preparato la serata nei minimi dettagli e nel suo primo saluto alla piazza mostra subito il proprio classico humour inglese salutando “tutti tranne quelli sui balconi, perché non hanno pagato!”.
È uno showman e lo conferma anche la presentazione di pezzi tipo “Understand” (inedita – quasi sconosciuta ai più – di “25”) come l’ideale continuazione della storia d’amore della stessa coppia di “Everything she wants”, ormai attempata e con qualche figlio a carico. Piccoli dettagli, ma che rendono il tutto un po’ più personale.
Fino alla prima pausa di venti minuti il climax prevede altre splendide canzoni fra le quali spicca “Going to a town” (dall’album “Release the stars” di Rufus Wainwright), che supera per intensità interpretativa la già notevole versione originale, dedicata alla città di New Orleans a mo di emblema della deludente moralità americana, così poco aperta all’accoglienza e piena di pregiudizi verso gli ultimi ed i diversi. Ogni riferimento all’ingiusta discriminazione dei gay è puramente voluta (“Tell me, do you really think you go to hell for having loved? …..after soaking the body of Jesus Christ in blood….I’m so tired of America”). Notevole anche la già nota “Roxanne”, ispirata da una prostituta di cui l’autore (Sting) si dice così infatuato da volerla affrancare dal suo squallido destino (…Those days are over, You don’t have to sell your body to the night) e visualmente arricchita dal video che scorre sullo sfondo del palco.
Dopo il break il set ricomincia con la prima e splendida social song “Patience”, voce e piano, nella quale George Michael condanna l’interesse economico (with all those money changing hands) che ha portato lo scontro fra occidente e mondo islamico, senza rispetto della cultura dei paesi “invasi”.
Un po’ più avanti, darà spazio anche alla seconda, “Praying for time”, dal sottovalutato “Listen without prejudice” che essendo una hit non ha bisogno di presentazione, se non un richiamo alle splendide righe autobiografiche: “I may have too much, but i’ll take my chances ‘cause God stopped keeping score” che si riferiscono alla sua propensione alla carità verso i poveri.
Decisamente autobiografico anche il pezzo forte dell’intero concerto “Where I hope you are”, vale a dire l’unica ballata non ancora pubblicata che l’artista dedica all’ormai ex compagno Kenny con il quale, spiega, non sta più insieme da oltre 2 anni. Il testo è pieno di rimpianti e di tristezza per i bei ricordi del tempo passato insieme, mentre a livello acustico suona originale il filtro vocale similmetallico usato già in True Faith (cover dei New Order), presentata nella prima parte.
Fra le diverse cover di questa sessione, inutile dirlo, fa da padrona l’indimenticabile “Love is a losing game” della già tristemente mitica Amy Winehouse. Vi rimandiamo al video per ogni personale commento.
Il concerto si conclude alla grande con il primo encore: un indimenticabile medley acustico/danzereccio che scuote la platea e la mette in piedi in due secondi: Amazing – I’m your man e l’insostituibile Freedom ‘90 (cantata per intero), simbolo della sua indipendenza dalle grandi major discografiche, ma anche dallo stesso pubblico, che lo identificarono agli esordi come un artista sì di talento, ma imprescindibile da MTV e dai poster per le ragazzine. Il tempo e questo concerto, se ce ne fosse ancora bisogno, hanno confermato che forse qualcuno si era sbagliato e che, appunto, “sometimes the clothes do not make the man”.
Dopo gli immancabili fischi di rito, George ci lascia con i versi di “I remember you” che, come in uno specchio, il pubblico reciprocamente sembra riflettergli, certo che non resteranno solo parole di una canzone ma la serata (e il suo fantastico crooner) rimarrà nella sua mente per sempre.
Set List
1. Through
2. My Baby Just Cares For me
3. Kissing a Fool
4. Understand
5. Let Her Down Easy (cover di Terence Trent d’Arby)
6. Cowboys & Angels
7. Going to a Town (cover di Rufus Wainwright)
8. You Have Been Loved
9. Roxanne (cover dei Police)
10. Brother Can You Spare a Dime
Intermission
11. Patience
12. John & Elvis Are Dead
13. Wild Is The Wind
14. Where I Hope You Are (inedita)
15. You’ve Changed
16. True Faith (cover dei New Order)
17. Love is a Losing Game (cover di Amy Winehouse)
18. Russian Roulette (cover di Rihanna)
19. Praying For Time
20. You And I (cover di Stevie Wonder)
21. A Different Corner
22. Feeling Good (cover di Nina Simone)
Encore
23. Amazing / I’m Your Man / Freedom
24. I Remember You