Freddie Mercury e l’Opera – il rapporto con la tradizione, la sua musica.

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Quarta Parte

4. CONCLUSIONE

«[…] Via: silenzio, ed attenzione. / State il sogno a meditar»: queste le parole fatte pronunciare dal Ferretti a Don Magnifico (Atto I; N. 2: Cavatina Magnifico) per zittire le figliastre che lo avevano appena svegliato. Parole scritte quasi due secoli fa, eppure tanto adatte a riassumere la genialità compositiva di Freddie Mercury: la nascita di un sogno e la sua realizzazione nel silenzio attonito dei suoi ammiratori. Sì, perché a lui sarebbe piaciuto considerare la sua nascita, ascesa e morte come frutto di un sogno, forse ne avrebbe usato il canovaccio per scrivere una canzone.
Ma è stato il Fato avverso a scegliere per lui il finale; un epilogo da eroe, da protagonista: niente lieto fine o happy ending, come nel mondo hollywoodiano.
Già, sicuramente ne avrebbe fatto a meno volentieri. Entrare nell’Olimpo, anche solo per dare un’occhiata ad Apollo e le sue Muse, ha un prezzo e lui, come altri (Mozart, Beethoven*, ecc.), l’ha pagato caro. Ma era l’inevitabile conseguenza della via intrapresa, tanto più in alto si sale quanto più in basso si cade, alla fine. La vetta dell’Olimpo è la più alta, la più pericolosa… anche per il dio Mercurio.
Con la nascita del mito, si sa, nascono le leggende.
Su Mozart si dice che già in età adolescenziale non scrivesse più su partitura durante la composizione ma tenesse tutto a mente per poi riportare su carta l’opera completa. Si dice che tale notizia, assieme all’evidente estro compositivo sempre più in ascesa, sconvolse così tanto il povero Salieri** (1750 – 1825) da condurlo all’omicidio dell’ancora giovine compositore austriaco. Morto per il suo dono. Per la sua musica. Per i suoi fantasmi. Per le Muse, sacrificato da Apollo e innalzato alla gloria eterna.
Si narra che Federico Mercurio, per diventare un dio, abbia fatto un patto con una misteriosa “Regina Nera”. La stessa a cui dedicò una Marcia (vedi cap. 5). Era il 1970, più precisamente la mattina inoltrata del primo dell’anno. I Queen al completo stavano raccogliendo le ultime pezze dopo l’ennesimo, estenuante concerto per farsi conoscere. Un uomo si presentò loro, aveva l’aria giovanile, capelli corti neri, ma un viso spaventoso. Il suo nome era Hemery. Si disse produttore in cerca di band. Per i ragazzi di Londra cadeva a fagiolo. Lui disse loro che li avrebbe fatti diventare grandi, ne avevano la stoffa. Ne furono lusingati. Hemery mostrò loro un contratto discografico, una garanzia di un tour e tanti, tantissimi soldi. I ragazzi rimasero di stucco, qualcosa non andava. Chiesero spiegazioni di perché tante garanzie. Hemery rispose che tali garanzie erano solo una forma di offerta per rispettare un “patto”: primo, avrebbero dovuto chiamarsi Regina; secondo avrebbero dovuto fare una cosa per Lei.
Fu così che uscirono i primi album della band e con loro arrivò il successo, ma di Hemery e della misteriosa magnate nessuna notizia. Nel 1975 però, durante le registrazioni di A night at the Opera, fece nuovamente la sua comparsa annunciando loro che era giunto il momento di adempiere al patto stipulato anni prima. Il tempo per la Regina era giunto.
L’album raggiunse le vette di tutto il mondo, trasportato dal successo planetario della sua hit, Bohemian Rhapsody. Ogni qualvolta la suonavano dal vivo, ogni qualvolta pronunciava quelle parole, Freddie aveva i brividi: Mamma, ho appena ucciso un uomo. Ho puntato una pistola contro la sua testa, ho premuto il grilletto e lui è morto. Mamma, la vita era appena iniziata, ma adesso io l’ho sciupata e buttata via. Non voglio farti piangere. Ma se domani non tornerò indietro tira avanti come se nulla fosse…
Poi però si ricordava delle parole di Hemery “Per Lei, Mr. Mercury. Per Lei” e andava avanti, doveva. Finito il tour la band incontrò al buio la loro misteriosa Regina. Raccontò loro il perché del patto stipulato, il perché di quella canzone. Era la sua redenzione. Attraverso loro, attraverso ogni concerto in cui la splendida voce di Freddie raccontava la sua storia, lei poteva redimersi da ciò che aveva compiuto anni addietro. Li ringraziò e liberò dal patto stipulato: erano liberi di proseguire la loro gloriosa carriera, purché non rivelassero mai il motivo della creazione di Rhapsody, altrimenti l’avrebbero pagata cara e quando meno se lo aspettassero. Ma la curiosità dei giornalisti sulla “canzone maledetta” era troppa. Così per far tacere qualsiasi illazione, Brian decise di annunciare che si trattava di una storia vera. Era il 1977. Ciò che accadde ai Queen, lo sappiamo tutti. Arrivarono sul monte Olimpo e proprio quando raggiunsero la vetta caddero inaspettatamente. La loro guida non c’era più. Il loro dio era precipitato. La maledizione della Regina si era compiuta. Il cerchio si era chiuso. Freddie Mercury era morto.***
Leggenda o no, la biografia della band e del suo leader sembra essere stata scritta da uno dei migliori librettisti del XIX secolo. Non servono altre parole se non quelle stesse di Mercury per dire addio al mondo, e quale metafora migliore poteva usare il cantante britannico se non quella dell’attore ferito e umiliato costretto ugualmente ad andare in scena? Così, persino nel suo testamento musicale, Freddie si rivolse nuovamente a Leoncavallo, paragonandosi a Canio nella sua splendida The show must go on:

The show must go on
Inside my heart is breaking.
My make-up may be flaking
But my smile still stays on.****

Nulla delle scelte fatte, delle canzoni scritte, degli arrangiamenti scelti per le sue canzoni sono state un caso. Ciò che ho scritto spero sia riuscito a chiarire quegli aspetti della carriera di Mercury fino ad oggi rimasti assai in ombra.

Note a pié di pagina:
* Ludwig van Beethoven (Bonn, 1770 – Vienna, 1827), è stato un compositore e pianista tedesco. La sua carriera si estende dal periodo classico al primo romanticismo; è stato l’ultimo esponente della Prima Scuola di Vienna (dopo Haydn e Mozart).
** Antonio Salieri è stato un direttore d’orchestra e compositore italiano di musica sacra, classica e lirica. Fu il compositore più famoso e importante d’Europa ai suoi tempi. Trascorse la maggior parte della sua vita alla Corte imperiale asburgica di Vienna per la quale fu compositore e maestro di cappella. Musicista dotato di grande talento, portato per l’insegnamento, Salieri ha visto il suo nome le¬gato alla sua presunta rivalità con Wolfgang Amadeus Mozart; una rivalità che portò, oltre ad accuse di plagio, a quella più grave di aver causato la morte del compositore salisburghese, episodio mai dimostrato storicamente e tuttavia riproposto con ironia e forza visionaria dal re¬gista Miloš Forman nel film Amadeus (1984). Tale rivalità, però, è piuttosto improbabile, poi¬ché le opere di Salieri ricevevano un maggiore apprezzamento rispetto a quelle di Mozart. Fra i suoi pupilli vi fu anche uno dei figli dello stesso Mozart, Franz Xaver Wolfgang, quasi a legare indissolubilmente i loro due nomi.
*** Cfr. S. Mannucci, Bohemian Mystery, in «Rock legends», I/15, 2006.
****[Lo spettacolo deve continuare / Dentro il mio cuore si sta spezzando / Forse il mio trucco si sta sciogliendo / Ma il mio sorriso c’è ancora].