Franz Schubert – Sonata D960 e Moments Musicaux. Recensione del cd.
Pur essendo stato riconosciuto, a ragione, uno dei maggiori interpreti del Novecento, Wilhelm Kempff non fu universalmente posto dalla critica e dal pubblico accanto ai “virtuosi”, ai “leoni” della tastiera, come Richter, Gieseking, Gilels o Benedetti Michelangeli.
Ma cos’è, in fondo, un “virtuoso”?
Questo cd dimostra inoppugnabilmente quanto il grande pianista tedesco oggi scomparso fosse “virtuoso”, nel senso che era in grado di utilizzare lo strumento, con eccezionale perizia, per trasformare un discorso musicale (e tecnico) in pura poesia, e ricreare lo spirito che ne è alla base: Schubert è uno di quei compositori che necessita, per rivivere, appunto di un “poeta del pianoforte”, pena il suo isterilimento.
Basta ascoltare il primo movimento della Sonata in Si bemolle maggiore (ultimo sublime esperimento schubertiano in questo genere), anzi solo il primo minuto, per rendersi conto che Kempff non sta semplicemente suonando, sta rivivendo il percorso creativo del compositore.
In un certo senso, tutte le opere contenute in questo disco sono “riassunte” in quel magico primo minuto: ne scaturisce uno Schubert apollineo, che concretamente congiunge il mondo di Mozart con quello di Schumann, vi è tutta l’efflorescenza della ineffabile e dolcissima semplicità schubertiana, la sua grande affabilità (di matrice tipicamente viennese); per questo motivo Kempff smussa a volte le increspature più taglienti, le manifestazioni più violente, o meglio le riconduce alla sua concezione fondamentale, senza cioè trasformare Schubert in Beethoven.
E nello stesso tempo, e con una eleganza raffinatissima, mette nel giusto rilievo le angosce, gli improvvisi rigurgiti di inquietudine che a volte turbano l’edificio neoclassico (come il trillo nel basso poco dopo l’inizio della Sonata).
Tutto questo si traduce innanzitutto nel canto – che è poi la “cifra” del compositore viennese –, il quale raggiunge qui uno degli esiti più alti (ma chi aveva già ascoltato l’interpretazione di Kempff del “Quasi troppo serio” delle Scene infantili di Schumann non se ne stupirà…): il canto del pianista tedesco è quasi un miracolo di intensa forza espressiva, levigatezza, grande capacità comunicativa, semplice e scorrevole, “colloquiale”, e sempre rispondente alle intime e cangianti pieghe della sensibilità schubertiana: è quasi scontato citare il secondo movimento della Sonata, quell’”Andante Sostenuto” “canonizzato” per così dire dalle mani di Sviatoslav Richter, ma anche il secondo dei Moments Musicaux, dove una successione di accordi si raccoglie prodigiosamente in un’unica voce cantante, profusa con adeguata malinconica dolcezza (e in cui persino i silenzi divengono eloquenti).
Nel restituirci la verità della poesia schubertiana, Kempff ne mostra anche i dettagli, l’architettura complessiva, cosa che rende giustizia a una generazione di pianisti troppo spesso oggi tacciata di “poca chiarezza”, “mancanza di approccio analitico” e via dicendo: il pianismo di Kempff, e il suo Schubert in particolare, è ancora oggi giovanissimo, fresco, e ha molto, molto da insegnare.