Forkleft Elevator “Borderline”, recensione

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Premessa “rabbiosa”

Come spesso mi accade di dover ripetere, l’abito fa il monaco, soprattutto in ambito musicale, dove ormai il freddo ed insulso mondo della musica fluida, pur donando una serie infinita di facilitazioni, ha oramai ucciso e dissanguato l’arte del packaging e della cura estetica del prodotto. Talvolta mi chiedo come si può inviare ad una redazione un disco masterizzato in fretta e furia, indicizzato con una scritta a pennarello, o ancor peggio mi domaondo ancora come si può non rendersi conto di quanto l’iconografia scelta per la propri acover art sia troppo spesso imbarazzante e fuorviante.

Molti di voi la fuori dovrebbero prendere esempio dai Forklift Elevator, in grado di offrire un prodotto reale, vero e di spessore al di là delle note che lo propongono. Basta sentirsi dire frasi come “Ma è la musica che conta”. Palle!
Ormai il disco deve avere un valore intrinseco come oggetto per superare le difficoltà in cui versa; solo con una produzione di alto livello o quanto meno una produzione curata ed originale si riuscirà a superare un vuoto generazionale, di cui molti di noi nati con il vinile ancora risentono.

Il disco

Fortunatamente (però) oltre ad un logo intrigante, una copertina riuscita ed un booklet impeccabile, i Forklift Elevator nascondono anche un talento di prospettiva, chiarificato dalle undici tracce di questo nuovo Borderline.
Nati tra i capannoni industriali del nord est, in giovane quintetto inforca la mentalità nuova del mondo heavy introdotto da un breve divertissement in apparente reverse, a cui segue la velocità espressiva di Misery, che sembra riuscire ad avvicinare lo speed thrash metallico grazie alle intuizioni di nuova generazione. Nonostante i back chorus, che talvolta destabilizzano l’ascolto, la via è decisamente irradiata dall’ottimo lavoro alle pelli di Andrea Segato in Blackout e The skin, grezzo e potente andamento dalle spezie nu-metal. Il riff, ipnotico, apre la via alle strutture calmieranti di Overload da cui nasce un naturale rimando agli episodi più intimisti di Zack Wylde.

L’impronta heavy torna in prima linea grazie al groove di Damn Bug, che sembra ripercorrere alcuni passaggi di Load, e la velocità avvolgente di The Cathedral, di certo tra i brani più interessanti. Giochi balance, una linea di cantato che non dispiacerebbe a Phil Anselmo e un battente cuore in background, offrono i confini dell’ottimo brano, fulcro emotivo dell’intero full lenght.

A chiudere le saracinesche del mondo dei Forklift Elevator sono infine l’ottima The fog, i cui graffi timbrici richiamano ancora una volta i Black label, ed il mietitore di sogni, trascinato verso di noi da un veloce impatto ritmico e da un interessate impostazione del songwriting.

Insomma, sporchi e diretti, ecco a voi i Forklift Elevator.