Fire to the stars “Made of fire”, recensione

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Scrivo non sapendo nulla.

È una delle sensazioni più belle che mi concedo da qualche tempo.
Scrivere di musica solo osservando la copertina e i titoli, in questo momento storico, fagocitato da informazioni veloci, non ha prezzo.

Ascolto.

Sullo sfondo del mio quotidiano l’ambiente circostante viene penetrato dalle note. Note eteree, melanconiche, che con il loro fare post-hazy lasciano aperta la porta della fantasia in favore di quelle perdute emozioni introspettive che oggi mi permettono di raccontare la purezza dello scoprire, ridefinendo così un nuovo punto di vista.

Lasciando in sospeso i classici incipit, mi rendo conto di quanto sia facile parlare di un disco privandosi delle (talvolta) necessarie informazioni che , volenti o nolenti pilotano la tastiera di chi si occupa di criticare…o meglio, di raccontare il mondo musicale.

Ogni difficoltà, infatti, svanisce sin dalle prime battute, quando una voce delicata, soave e onirica va ad incastonarsi tra i dettagli di echi e riverberi, definiti da una linea vocale magica, appoggiata con accortezza su di un minimalismo espressivo, in cui poche note, dalla profondità aumentativa, ricreano un habitat raffinato e visionario.

L’impostazione delicata ed evocativa, tipica di un certo tipo di alternative lo-fi, rileva i contorni di un mondo indie, che raramente sentirete se continuate imperterriti a sopravvivere nel mainstream, che mai scoprirà una perla espressiva come Golden Bowlilng.

Un incantesimo unico che, mediato dalla dolcezza espressiva di Wholesale Slaughter va a diluirsi come in una sorta di loop machine, in cui le voci si reiterano attraverso una duplicazione di se stesse, ponendosi come base espressiva di note pronte a esplodere mediante un accennato rumorismo assestato da Keep you Safe, in perfetta asincronia con la dolcezza espressiva della femminea vocalità. Una traccia in cui la profondità, velato ossimoro senza confini, appare sovrapposto ad una ruvida e forse disturbante sonorità graffiata.

Ad aumentare l’aspetto emotivo della tracklist sono poi i dosati archi, che ci portano verso un nord europeo figlio del post rock dilatato ed esteso, pronto ad avvolgere l’astante, qui condotto all’interno di stelle infuocate, pronte a segnare tracce che non fanno altro che raccogliere emozioni, tra toniche in battere e nebbie disorientanti.
I brani si fanno poi più chiari e meno misterici con l’impostazione solare di Starting with M, in grado di ristabilire un nuovo contatto osservativo, che anticipa con delicatezza l’arrivo delle piccole gocce Cat Power di Sunday

A chiudere il mondo dei Fire to the stars sono infine le attenuate corde di Triple King, degno atto di chiusura; ideale espressività libera da ogni rappresentazione banale.

Ma chi sono i Fire to the stars? Arrivano da Melbourne grazie alla sinergia artistica di Daniel Beekman, Petter Bertilsson, Chloe Davies, Cat Tyson Hughes, Jim McDonald e Tim Spelman, fulcri espressivi di un debut album di altissimo livello. Edito da Seahorse Recording, valente nel raccoglie eccentriche spezie dream-indie, il disco si proporne metro espressivo di un’arte che (scusate il parallelismo forzato) mi ha avvolto e sorpreso quanto il primo disco dei Mum.