Finister “Please, take your time”, recensione
Si chiamano Finister e arrivano da Firenze per tornare (dopo quale anno) sulle nostre pagine con un disco carico di echi, riverberi ed effetti, invitandoci a danzare con loro perché… è arrivato il momento di salire a bordo e seguire le ritmiche di un disco abile nell’utilizzare i giusti tasti, posti tra easy listening ed electro pop. Un delicato sguardo perso tra le gallerie di quella metro immortalata dalla cover art e dall’ottimo booklet, in grado di raccontarci un mondo a se stante in cui il la quotidianità passa, trascorre e riparte attraverso personaggi straniti e suoni ipnotici (A free bug), mostrandosi intenti a compiere passi espressivi verso jazz e lounge.
La curiosa struttura impostata dal quartetto, sin dalle prime battute, sembra voler percorrere una via alternativa non troppo discosta dalle idee indie anni ’90, qui rivisitate dalla perfetta modulazione di tracce come Pan Tribal, esempio psicotico di come l’apparente armonia venga deformata da una direttrice inquieta e ridondante. Le intuizioni vintage si incontrano poi con una mal celata anima elettronica, alquanto credibile anche grazie ad una strutturazione ben definita da un crocevia inatteso di suoni e sensazioni.
L’album, licenziato da Red Cat Promotion, sembra nascere e vivere in territorio d’oltremanica, da cui sembra arrivare e al contempo anelare, mostrando anime divergenti (My deepest faces) che da rimandi Grandaddy giungono al Brit pop senza dimenticare sensazioni anni ’70.
A dare risalto all’opera sono, infine, le onde delicate e nobilitanti di I can see you che nonostante un eccessivo accesso in territorio estraneo, riesce a convogliare un sound narrativo e a tratti onirico, proprio come dimostra Skyscrapers in cui un’aria Placebo va ad incontrare echi electro, tanto interessanti quanto meritevoli di un ascolto attentivo e deduttivo.
Tracklist
1. Lighter
2. A Free Bug
3. I Know That I Can Be With You
4. Pan Tribal
5. My Deepest Faces
6. Vapor
7. I Can See You
8. Skyscrapers