Filippo Andreani “La prima volta”, recensione
Chi è Filippo Andreani?
Ascoltando il suo terzo album solista lo si capisce, o meglio, lo si intuisce immediatamente. Attraverso storie reali e genuine, raccontate con l’attenzione di chi dietro alle spalle ha vissuto veloce, ma attento. Infatti l’ex Atarassia Gröp, dopo la parentesi con gli Erode, continua il suo solitario pensiero, giungendo alla sua Prima Volta, approccio sincero e per certi versi intimista, in grado di mostrare le opache luci di un passato che dai Clash giunge ad una visione romantica del mondo Ultras.
Il disco, racchiuso all’interno di un piacevole digipack, è interamente suonato dal suo autore in sinergia con i Linea, pronto a raccontare, attraverso riusciti featuring, un viaggio tra il cantautorato ed il combat folk schierato, proprio come dimostra l’introduttiva Canzone per Delmo, dolce armonia dedicata ad Adelmo Cervi. La traccia, senza dubbio tra le meglio riuscite dell’album, è resa magica dalla voce di Marino Severini, abile nel donare colore e calore al cielo sopra Reggio Emilia , attraverso una struttura emozionale ben definita, in cui l’aurea folk-ballad si mescola al cantautorato espressivo e vivo in E Roma e il mare. La canzone, cantata in collaborazione con la mitologica Banda Bassotti, descrive “certi amici” con le loro facce sporche e sincere, arrivando a parlare di occhi vivi ed avanzi di cantiere, tra stralci danzanti, spirito descrittivo e teatralità.
Lo sguardo attentivo dell’ascoltatore non fatica poi a posarsi su Il prossimo disco dei Clash, rimando generazionale al punk politicizzato. Un brano dal sapore live, in cui allegorie e metafore raccolgono ideali narrati da sogni persi, perché resterà solo un silenzio che ricorda i marciapiedi quando nevica.
Il sentiero tracciato dall’autore viene illuminato dal faro disegnato nella back cover , abile ad inquadrare il rock di Veloce, in cui l’inspessimento emotivo va a mescolarsi ad echi e riverberi passatisti, qui rappresentati da Rob dei Temporal Sluts e Robi degli Atarassia Gröp, attraverso voci disarmoniche, volte allo sguardo dedicato a Speedy Angel, storico frontman dei Potage. Se poi l’attenzione si focalizza verso un velato combat folk pronto a germogliare in Che ti sia lieve la terra, dedicato a Giovanni Brera, con Tito si giunge a definire piccole emozioni in levare. Da qui (ri)parte la linea ben tratteggiata del basso, abile nel riportaci verso un mondo calcistico perduto e dimenticato, ponendosi tra De Gregori e Lindo Ferretti.
Un anthem raccontato con fervore da Steno dei Nabat, attraverso l’uso di una poetica calcistica che forse solo gli Statuto sono riusciti raccontare.
Ma il viaggio tra le note trascina con sé nuove emozioni atte a condurci verso il canto dedicato a Stefano Borgonovo; infatti Numero nove appare possedere un’ impostazione perfetta, corredata da canti ultrà che i brividi fanno venire solo a chi la curva la vive e l’ha vissuta.
A chiude il disco è infine 30 gennaio 2014, reale inno alla gioia di un padre nuovo, raccontato da emozioni (ancora una volta) de gregoriane, pronte a sposarsi alla perfezione con le nuvole lente di poeti contemporanei.
Grazie dunque a Filippo Andreani!! E (questa volta) lo voglio scrivere in maniera personale e soggettiva, perché dopo molti anni di dischi divorati, sei riuscito a dare emozioni e lacrime su cui pensare e soffermarmi davvero.