Femi Kuti – Africa Shrine
Africa Shrine è il primo disco dal vivo di Femi Kuti, registrato in un luogo che è anche il simbolo dell’Afrobeat militante: l’Africa Shrine di Lagos, Nigeria, ricostruito dallo stesso Femi dopo che lo Strine di suo padre fu adibito a chiesa evangelica. Nelle note di copertina sono riportate le parole di Fela Kuti:
“lo Strine non dovrebbe essere visto come un night club, ma come un luogo di culto, più sacro di tutte le chiese e le moschee che abbondano nelle città africane”.
In questo senso, il concerto che Femi tiene allo Strine tutte le domeniche è la celebrazione della lotta ideale di suo padre, the Black President, per restituire l’Africa agli africani togliendola dalle mani di tutti i gruppi di potere che se la spartiscono: dai governi, ai militari, alle istituzioni religiose. Assieme ad Africa Strine è stato pubblicato anche un DVD, intitolato Live at the Strine, che vale la pena cercare.
Di suo padre, il leone Fela Anikulapo Kuti, creatore dell’Afrobeat e guerrigliero della parola, abbiamo già scritto e scriveremo ancora, perché era uno dei più grandi. Di lui Paul McCartney disse:
“Ho visto Fela suonare una notte nel suo club di Lagos, ed è stata la migliore band che avessi mai visto, di una intensità incredibile.”
Suo figlio Femi, nato a Londra dalla sua prima moglie, iniziò a suonare molto giovane nella band del padre, gli Egypt ’80, dei quali assunse persino la leadership durante l’incarcerazione del padre nel 1985. Poco dopo lasciò gli Egypt per fondare il suo gruppo, i Positive Force, con i quali firmò negli anni ’90 un contratto addirittura con la mitica etichetta Motown. Purtroppo i primi dischi di Femi con i Positive Force sono introvabili. Nel ’97 morirono prima Fela, di AIDS, poi sua sorella Sola, a causa di cure mediche sbagliate. Il ‘97, immortalato in un pezzo struggente presente anche in questo disco live, segnò per Femi il momento di raccogliere l’eredità del padre, e la svolta nella sua musica e nel suo impegno fu tale che in molti gridarono alla rinascita dell’Afrobeat.
Dall’anno della svolta, Africa Strine è il terzo disco di Femi. Il primo fu Shoki Shoki (1998), di cui ne esiste anche una versione Remixed, dedicato a suo padre e a sua sorella Sola. Il secondo è Fight to Win (2001), un lavoro che imbocca contemporaneamente tutte le direzioni della musica nera contemporanea, conservando al tempo stesso le atmosfere oscure e tese e i ritmi ossessivamente tribali dei ghetti di Lagos. Se Africa Strine possiede la magia dell’atmosfera dal vivo, Fight to Win trasmette lo stesso una straordinaria energia, sostituendo alla rovente partecipazione del pubblico la qualità della registrazione in studio, dinamica, aperta e capace di un impatto fulminante.
La band che suona in Africa Strine è costituita da una trentina di persone, tra cui una decina di coriste e danzatrici, uno spettacolo di suoni e colori che si può soltanto immaginare. Femi Kuti, alla voce e al sax, è affiancato da una sezione di sei fiati costituita da tre sassofoni, due trombe e un trombone, tastiere, due batterie e due bassi, due chitarre, quattro percussionisti e il coro.
Rispetto alla musica del padre, della quale conserva l’atmosfera, la musica di Femi è accessibile a un pubblico più ampio. Le canzoni di Fela durano raramente meno di 15 – 20 minuti, sviluppandosi a partire da lunghissime introduzioni strumentali caratterizzate da un groove a metà tra il funk e il jazz psichedelico, alle quali segue la narrazione di una storia in broken english, l’inglese degli africani. La struttura dei brani è segnata da elementi ripetitivi sia nel canto antifonale che nelle figure della possente sezione dei fiati, e questo rappresenta un forte richiamo alla musica tradizionale, che ne rende più difficile l’ascolto.
Anche Femi, come il padre, canta in broken English e in Yorouba, donando ai suoi testi un forte sapore africano, e lasciando a volte i significati oscuri e ricchi di sfumature misteriose. Tuttavia le canzoni di Femi durano appena 5 o 6 minuti, risultando in tal modo assai più digeribili. Inoltre, accanto al funky e al jazz, convivono i sapori del rock, le atmosfere giamaicane e i ritmi delle Antille, a formare un coktail moderno, caratteristico e di grande impatto. I suoi brani non hanno nulla di ripetitivo; sono caratterizzati da frequenti cambi di atmosfera, passando da delicate introduzioni all’organo hammond a poderosi passaggi orchestrali, da sfrenate corse sincopate dal sapore funky a sottili andamenti in levare, intercalate dagli urli lirici e disperati del suo sassofono, per passare ai lunghi e sfrenati deliri di pachanka. Grazie a tutto questo, Femi sta ottenendo rapidamente in tutto il mondo un successo che si prevede maggiore di quello del padre.
I brani del disco sono quasi tutti nuovi, nel senso che non sono contenuti nei due dischi precedenti, con l’eccezione di ‘97, un pezzo struggente tratto da Fight to Win. Il messaggio di ‘97 è che “è giunta l’ora di parlare”, cioè è giunta l’ora di combattere. “E’ ora di dire che il governo di Obasanjo sta portando tutti noi all’inferno” (Shotan).
E pensare che il presidente Obasanjo è così apprezzato in Europa e negli Stati Uniti, forse grazie solo ai suoi contratti per la vendita di petrolio e ai suoi accordi con l’Europaper combattere l’immigrazione clandestina, accordi basati soprattutto sull’inasprimento delle pene verso i nigeriani.
Il disco si chiude con un omaggio, una splendida e commovente interpretazione di uno dei pezzi più belli di Fela, Water No Get Enemies. Qualsiasi cosa dobbiate fare avete bisogno dell’acqua, l’acqua non ha nemici.