F@b taimbaut’dat, recensione

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Attivi dal 2012, gli ucraini F@b, curioso acronimo di Fragment Antigen Binding, si affacciano sul mercato musicale, armati di solide armi rapcore, dipinte da striature che dal cripto grunge giungono a strutture tipicamente nu-metal.
Il quartetto, trascinato nel vortice dagli istinti espressivi di Ivan Patey, sembra voler raggiungere il proprio obiettivo evitando strutturazioni eccessivamente composite, che hanno inizio proprio dalla folle cover art, specchio schizofrenico delle partiture proposte. Proprio la copertina, che sembra rinverdire in maniera edulcorata la straordinaria arte di Altar of madness, racconta l’aspetto emotivo e genuino della band, attraverso una tracklist ben bilanciata.

L’ ottimo impatto di Doubley Chromosome, si pone tra i confini ovattati dei propri intenti, pronta ad aumentare la sensazione attesa, mediante un cleaning appoggiato al suono ciclotimico, ricco di picchi e stasi. Un dinamismo armonico in cui confluiscono particelle nu metal, ricamate da alcuni sentori rap e da rimandi tecno futuristici. Una mescolanza ardita, le cui alimentazioni space definiscono le striature armoniche come originali trame, assolutamente convincenti e, per certi versi, innovative, pur non fornendo strutturazioni germinali.

La giovane band offre un sound fresco e diretto, in cui il valore aggiunto pare essere la sonorità isterica e schizofrenica dell’insano drum set, che, pervaso dell’arte espositiva di Bon Appetit, si pone marcatamente riversata su barre rap core, tanto da ricordare sensazioni Molotov e Linea 77. La struttura vocale, che si applica sulla fondamentale espressività dell’assolo, vivacizza una tra le migliori tracce del disco, intercalata tra il battere urlante della voce, ideale nel suo sfiorare emozioni growl, e songwriting multilivello.

Le interessanti tecniche musicali ritornano con i sentori Korn in Dr. Jackyll and Mr. Hyde e nella rapida e disarticolata follia del divertissement madre di Life is good, il cui trait d’union prosegue con You , il cui ritmo cadenzato propone un impatto sonoro dalle urlanti decorazioni, qui incise mediante un percorso lineare pronto a migliorarsi con Measure. Proprio da qui si intravedono struttura dai contorni catchy che tornano preponderante tra le note di Mute Man, in cui la chitarra gioca con facilità ad inseguire il groove portante della traccia.

A chiudere il full lenght l’ottima divagazione di Air, che con il suo inizio inquieto e claustrofobico offre un accesso vocale agli stilismi Jonathan Davis, e la trainante Vacuum, degno epilogo di un ottimo disco sui generis, in grado di raccogliere potenziali proseliti in mondi divergenti dall’atteso.