Fake Heroes – Divide and rule, recensione.
Spesso il rock italiano preferisce definirsi agli estremi del business.
O gruppi estremi, o pop o progressive o pseudo intellettuali. Pare che le vie di mezzo non siano considerate. Certo non è semplice trovare equilibrio e una posizione personale un mondo variegato e in continuo divenire come quello musicale attuale.
Ma i Fake heroes hanno intrapreso la strada giusta con questa prima opera.
Undici tracce di onesto e granitico hard rock contemporaneo per questo quintetto pescarese alla loro prima fatica ufficiale. Uscito per la Antstreet records “Divide and rule” è quasi una novità nel panorama italiano. I nostri ben si difendono e ben hanno imparato la lezione di Nickelback, Linkin Park e Goo Goo Dolls amalgamando egregiamente il tutto in uno stile personale anche se non ancora pienamente espresso.
Le tracce si susseguono coinvolgendo l’ascoltatore in un mondo molto “umorale” in linea con i testi a sfondo sociale. Il riffing non è mai fine a sé stesso ma segue l’interpretazione, più che degna, di Manuel Gatta. Nelle sue metriche è presente una attenzione a quelli che erano refrain dei gruppi hard rock di ottantiana memoria.
Richiamo immediato per la cadenza di alcune sezioni è la proposta dei canadesi Pain of salvation dei primi dischi. Nessuna ossessione prog per i nostri, ma solo la sana voglia di suonare e non rimanere su terreni triti e ritriti. Un disco da ascoltare ed avere per non perdere il contributo italiano al rock contemporaneo. Per i Fake heroes certo un buon inizio che dà margini di maturazione e magari sperimentazione.
Melodia, chitarre non esasperate e sempre al servizio della canzone formano un ottimo lavoro. Ottima anche la produzione, suoni ben amalgamati ma comunque sempre distinguibili.
Il combo pescarese si pone in perfetta linea di continuità con quella che è la naturale evoluzione del rock duro attualizzando le intenzioni sia liriche che sonore. Buona la tecnica esecutiva, mai eccessiva.
Alcuni passaggi, come in Anthill e Beyond this glass, possono richiamare alcune intenzioni dei Tool ma con ritornelli decisamente più melodici e aperti. Strizza l’occhio ai Goo Goo Dolls più melensi invece Between sounds and noises. Forse una delle tracce meno personali del disco. Il tono si rialza con la successiva Stealing che riporta il gruppo a suoni nettamente più decisi e incisivi con tempi sincopati che danno un buon andamento al brano coadiuvato da un ritornello che si fa ricordare.
Buono lo stacco centrale che mette in evidenza il basso di Francesco Cetrullo. Giunge da distanze psichedeliche la seguente Wise man che subito mostra carattere. Hard rock senza fronzoli, diretto e energetico. Ben riuscito l’intreccio delle due chitarre di Gianni Vespasiani e Simone del Libeccio che si intersecano per tutta la durata del brano. Uno dei brani meglio riusciti che sorprende con il rallentamento in fase finale che appesantisce ulteriormente il suono. Su direttrici più canoniche segnate comunque da buoni ritornelli Don’t believe them, brano aperto e solare con a solo molto azzeccato. Si ritorna su atmosfere sognanti da power ballads con Reflection, che comunque non dimentica la potenza espressa pienamente nel chorus. Malinconica e ben riuscita Sense of gratitude. Malinconica ma mai scura e chiusa su sé stessa. La chiusura del disco è affidata a Need of light ancora con reminiscenze googoodolsiane, soprattutto nel refrain iniziale, anche se non certo per i suoni.
Nell’insieme un disco interessante, anche se acerbo. I nostri devono scavare maggiormente nelle loro capacità e trovare un sound si personale ma maggiormente variegato.