Fader – Electric Floor
Non credete a chi dice che in Italia la musica sia ormai morta. Chi lo afferma non ha minimamente idea di cosa si muova nel sottobosco della nostra scena indipendente, sganciata dalle major e dai frullatori televisivi che vorrebbero farci credere che solo le cover band (nella peggiore accezione possibile) o la riproposizione di canzoni già note possano interessare realmente il pubblico.
Al riguardo, ascoltare dischi come Fader degli Electric Floor, trio originario di Cosenza, rappresenterebbe un ottimo esercizio per far ricredere molti dei succitati menagramo. Questa giovane line up, formata da Emanuele Chiarelli (voce e chitarra), Simone Costantino De Luca (tastiere) e Fabio Cosentino (basso) riporta in auge con sorprendente autorità le sonorità elettroniche rock/new wave degli anni 80, divagando spesso nel più complesso shoegaze sviluppatosi nella decade successiva.
In realtà si tratta di un EP, con sole 5 tracce, ma alla fine dell’ascolto risulteranno più che sufficienti a far capire che la stoffa i ragazzi ce l’hanno eccome, riuscendo ad imbrigliare l’ascoltatore in “paesaggi elettronici stratificati” esteticamente notevoli. La voce di Chiarelli è limpida e calda e la sua buona pronuncia inglese dissimula a sufficienza il Dna italiano del gruppo.
I riferimenti più autorevoli potrebbero essere in parte i Depeche Mode, i Cure o anche gli ultimi Editors, ma la verità è che gli Electric Floor hanno un sound che non si identifica pienamente con nessuno di questi ed è invece frutto di un lavoro costruito nel tempo.
Fader inizia con “Bluedive”, cavalcata piena di riverberi di chitarre elettriche che si sovrappongono a ritmi elettronici abbastanza serrati, mentre il testo sembra voler intendere che non bisogna porsi limiti all’ambizione nella vita (Too much is not enough), ma per farlo bisogna correre e faticare, senza fermarsi (If you want to run…run a mile). L’approccio iniziale, melodico ma pieno di una tensione dark, resterà il leitmotiv dell’intero lavoro e così non è un caso che il mood della successiva ballata “Charming dress” sia sostanzialmente simile, pur con un incipit radicalmente diverso, direi quasi pop. Sullo sfondo ci sono echi lontani di “Disintegration” (mi riferisco in particolare alla title track del celebre album di Robert Smith e soci), che la band a quanto pare sembra aver assimilato a meraviglia. In “Borderland”, che parte più calma, il ritmo diventa progressivamente sempre più incalzante per poi rallentare di nuovo, proprio come nella successiva “M31”, quasi in un ping pong fra elettronica e rock. Chiude in bellezza il disco “Nosedive”, forse il pezzo più vicino ai succitati Depeche Mode con la particolarità di un filtro vocale che per la prima volta si affaccia nel background musicale.
Nel complesso gli Electric Floor dimostrano di essere più che pronti a presentarsi al pubblico con un vero LP, magari in un prossimo futuro, con l’auspicio che sappiano mantenere al meglio le promesse fatte con Fader. Ma di questo sinceramente ho pochi dubbi.