Fabrizio Zanotti – Pensieri Corti
Quante volte ci siamo sentiti rispondere: “Buongiorno, sono Marco, in che cosa posso esserle utile?”. Tante. Ormai ci abbiamo fatto l’abitudine.
E’ la storia narrata in Chini Marco, un bamboccione (per usare un vocabolo preso a prestito dal luminoso mondo dell’economia italiana) di trentun anni impiegato in un call center. Il titolo poi è tutto un programma: il cognome prima del nome… E’ come dire un numero. Un mio professore delle scuole superiori era solito dire: “E quando vi firmate mettete prima il nome, voi sui libri studiate forse Buonarroti Michelangelo?” Il cognome e poi il nome equivale a ripetere una matricola, a scuola, sotto le armi, a lavoro. Fabrizio Zanotti con la prima traccia già coglie nel segno e ci apre la porta dell’ascolto di questo brano la cui matrice (italianissima, inteso in senso buono) fa eco alla commedia degli anni ’50, quella dell’Italia che sorride amaramente. E’ il disincanto dell’impiegato al call center, stufo di illudere i clienti e di non reagire di fronte alle raffiche di insulti che provengono dall’altra parte del cavo, ma che come un soldatino (o carne da macello, o pedone degli scacchi se preferite un termine politically correct) sa a malapena quale guerra sta combattendo ma è pronto a morire senza battere ciglio.
Per la patria. Ma quale? Quella che ormai stanca non sa che cosa racconterà ai nostri figli?
E allora, quasi come logica conseguenza, ecco Barack Obama, inno neanche troppo convinto all’America, l’America miraggio dei nostri nonni e ora miraggio di quest’Italia che aspetta di essere salvata (nel nome del mambo e del cha cha cha, beninteso!). Pare più voler guardare altrove piuttosto che guardare in casa propria (Destra? Sinistra? Tasto dolente…). Come dire: meglio di niente…
Pensieri corti vira verso lidi più farseschi e sgangherati (arrangiato veramente ad hoc), mentre L’ascensorista si sposta sul ridicolo, ma ciò che traspare dal personaggio (che, manco a dirlo, soffre di vertigini!) ispira solo tanta tenerezza.
Prima di procedere oltre, è d’obbligo soffermarsi sulla musica. L’ambientazione sonora è asciutta, molto ben suonata ed arrangiata (il Nostro si occupa anche di tutti gli strumenti a corda presenti nell’album), cantautorale ma non lasciata al caso… C’è la giusta attenzione ai dettagli senza sconfinare nella paranoia. Il cantato di Zanotti strizza l’occhio a De André ma non ne fa un plagio, mantenendo comunque un’impronta personale. Ciò che più traspare, a mio modo di vedere, è la passione, la dedizione alla musica ed al ruolo di cantautore.
Musicalenta e L’universo che ora dorme sono due autentici gioielli, i brani che toccano le corde più profonde dell’anima, con la prima, sconsolata e malinconica, che ruota intorno ad una semplice passeggiata notturna in una strada semideserta (mentre la luna morde il cielo rivedo la mia infanzia / mi accarezza un brivido si accorcia la distanza / profuma l’aria tiepida profuma la città…) e la seconda, vero e proprio elogio alla vita che sta per nascere dal grembo della madre, con il testo vestito di tenerezza e speranza (Io ti ascolto chiacchierare / io ti sento rimbalzare / dov’è il tuo respiro / forse riposa nel mio / io ti aspetto, vieni presto / quando è tardi sogno spesso / di te meraviglioso mondo / sei tu la speranza che porto…). Commovente.
La voglia di liberare la propria anima dalle catene e gridare se stessi emerge in Quieta la mente, potenziale hit dell’album, con un tiro veramente notevole, e nel quale si possono scorgere in lontananza echi dei Negrita.
Mezzospago (ode al Sud) è la triste riflessione sui mali che affliggono il meridione (terre ubriache di fango di sangue e di re / bruciate dal sole sputano il seme), sorretta da una ritmica ficcante e chitarra stoppata.
Con Ho visto Nina volare Zanotti rende omaggio a De André (coautore insieme a Fossati del brano), mentre La storia continua è il degno epilogo dell’album, che potrebbe essere sostituito da “la vita va avanti” oppure “così è anche se non ci pare”, in cui Zanotti si esibisce in una bella performance al charango.
A questo punto, oltre a consigliare vivamente l’acquisto di questo CD, vorrei fare due riflessioni.
La prima è: ma possibile che la lungimiranza dei sedicenti direttori artistici sia sempre così miope da preferire (in nome del Sacro Graal dell’audience) la creazione di artisti “in vitro” con i talent show piuttosto che armarsi di santa pazienza e sbirciare nei sentieri meno battuti del circuito musicale?
La seconda: forse da oggi (per chi già non lo fa) sarà il caso di dire al Marco Chini di turno: “Non ce l’ho con lei ma con chi le paga lo stipendio”?