F. Marchetti Quando correvo su e giù per l’Italia dietro ai Litfiba, recensione
A volte ho pensato di vivere solo per questi momenti.
Quello che mi ha colpito maggiormente della titolazione di Quando correvo su e giù per l’Italia dietro ai Litfiba., curiosa attribuzione wertmulleriana voluta dalla sua autrice, non è stato tanto la parola Litfiba scritta in bianco size maggiorato, quanto il verbo al passato. Quel semplice “correvo” nasconde già di per sé un concetto ben preciso legato a quello che ultimamente è stata ricordata come la Trilogia del potere. Un passato (quasi) remoto che, proprio un anno fa, è stato commemorato da una deliziosa ed imperdibile parentesi live.
Tutti coloro i quali hanno assistito ai concerti della nostalgica reunion, probabilmente compreranno questo piccolo libro edito da Edizioni il Foglio, perché il richiamo dei Litfiba degli esordi, rimasto latente per tutti gli anni della commercializzazione, vive e continua a vivere sulla scia di un indelebile ricordo. Solamente chi ha avuto la possibilità di assistere agli esordi della band, può oggi disgregarsi da una massa convinta che Piero Pelù sia il giudice di The voice o quello che canta Regina di cuori. Per noi ( mi inserisco negli oltranzisti della prima ora) Pelù è quello che appare nella cover art di Aprite i vostri occhi live.
Il pensiero radical- vintage, legato ad un tempo che non tornerà, se non sotto forma di reprise, sembra essere alla base di questo curioso Diario di una fan girovaga di nome Federica Marchetti, scrittrice viterbese che con leggerezza e spontaneità racconta la sua infatuazione per la band fiorentina. Un viaggio in forma di extended played , di una ventenne divisa tra le onde nuove ed il mainstream, vestita di confusione onirica, e patologicamente affetta da bulimia musicale.
Un’ipnosi sonora raccontata attraverso perdonabili ripetizioni e piccoli subitanei aneddoti, costruiti attorno a reminiscenze, outtake e backstage.
Non crediate però di trovarvi di fronte a testimonianze in “Slut!” style, qui la narrazione è definita, in maniera tutt’altro che lineare, da una NON-groupie, pronta ad aprire il suo cassetto Daliniano e regalare ai lettori una vasta schiera di fotografie rubate, proprio come i baci di Truffault.