Extrema “The seed of foolishness”, recensione
The end of culture, the end of art
The end of everything by those old farts
Dehumanisation of every man
Globalization, this is the end
Gli Extrema, come dimostra questa ultima fatica sonora, hanno nel corso degli anni ottenuto forse meno di quanto seminato. Ricordo ancora il tape trading di fine anni 80 quando mi ritrovai a consumare la cassetta di We funkin’care, affrontando chi sosteneva che il disco non fosse nulla di interessante. Da allora la mia strada con la band milanese (però) è proseguita su binari paralleli. Per anni non mi è più capitato di incrociarli né per lavoro. né tanto meno per loisir. Oggi, grazie alla Red Cat Promotion mi ritrovo a balzare nel mio passato, affrontando le nuove dieci tracce di The seed of foolishness, full lenght incastonato tra il thrash metal old school e il cosiddetto groove metal.
Il disco, promosso nella sua splendida veste in digipack, offre un perfetto inlay ed un booklet che vanno ben oltre ad una cover art non molto convincente nella sua struttura allegorica. Ma come ben si sa è necessario superare l’aspetto estetico, arrivando a toccare lo sviluppo sonoro della storica band milanese, qui alle prese con cancrene sociali legate all’ingiustizia, alla violenza, all’abuso, alla guerra, alla tirannia e a tutte quella macro piaghe che il nostro mondo ci costringe ad osservare inermi.
Il combat metal di stampo thrash core ha inizio con il diluito riff di Between the lines, in cui il drum set ben definito offre linee sonore in grado di esplorare un’appartenenza old school chiara e genuina, soprattutto per il chorus in Hetfield style. La lirica diretta ed accusatoria va a calamitarsi su The politics, da cui la tagliente sei corde si mostra a proprio agio su di un palco musicale possente ed irregolare nel suo andamento. La corruzione sociale è metaforizzata da heavy back voice e strutture espressive non troppo lontane da Anthrax e D.R.I, proprio come accade nel fade out di Pyre of fire. La traccia, raccontata anche da video promozionale, richiama spezie moderniste e sentori propri di Vulgar display of power, nonostante alcune eccessive concessioni armoniche.
Se poi con Ending Prophecies la band affronta un ritmo modulato su sensazioni proto acustiche, con Bones la voce filtrata tra echi e riverberi, ci ricordano sensazioni Stone temple pilots, fino ad incanalarsi verso percezioni heavy, piacevolmente appesantite da una buon comportamento alle sei corde.
I ritmi si suppurano verso un acidità maggiore nell’ottima Again and again, ridondante nel suo essere angosciante ed ipnotica. La lirica, di certo ben costruita, appare pronta ad una fisiologica evoluzione verso un’istintiva rabbia espositiva e verso un aumento del groove espressivo.
Prima del divertissement occultato nella ghost track la band offre di sé il rabbioso speed trash di Deep infection e la rabbia chiusa di Sick and tired, anticipazione della sorprendete conclusione di A moment of truth, in cui i cliché e le tipiche sonorità della band si estendono verso una ballad attentiva che, pur vertendo su differenti lineamenti sonori, offre uno sguardo alternativo ed intrigante.