Ex-p – Carpaccio esistenziale
Se vi capiterà di andare sul sito ufficiale della band troverete un manifesto filosofico-musical-programmatico in cui l’ensamble musicale si auto-definisce in poche righe di testo:
“ Gli ex-p continuano ad esistere. Gli ex-p si arrangiano. Registrano a casa, mixano di notte, mettono assieme i pezzi per costruire qualcosa di possibilmente buono…”.
Questo “qualcosa di possibilmente buono” è di fatto rintracciabile nel nuovo disco (“..nonostante il mondo non abbia bisogno di un altro disco.. ”), intitolato “Carpaccio esistenziale”, in cui il parallelismo gastronomico si concretizza ben oltre al polpo posato sulla sei corde della cover art. Il quartetto eporediese, infatti, offre un menù in cui una concreta psichedelica follia, si fonde e confonde con un’improvvisazione, che trova collante tra il free jazz e lo-fi.
L’opera ultima degli Ex-p ha la capacità di non eccedere nel rumorismo fine a se stesso, riuscendo a ritrovare meccanismi proto-melodici, attraverso ridondanze e vortici sonici che richiamano molto la psichedelia pinkfloydiana di “The Piper at the gate of dawn”. Il pifferaio magico viene poeticamente citato dalle sonorità dell’introduttiva “Eigender” dal trionfalistico sapore british e la conclusiva “L’ultimo FUNK”, che con il suo ipnotico accento chiude un cerchio quasi perfetto.
“Carpaccio esistenziale” non si riduce però ad un citazionismo puro, ma riesce ad offrire una sorta di caoticità pacata del prog-rumorista, come emerge da “ATTACCO al tram”, in cui la sezione ritmica di Alessandro Allera e Diego Rosso disorienta, ma al contempo impreziosisce un percorso che trova il suo apice nella limpida “L’ultimo funk”, che si distingue dalla già citata “L’ultimo FUNK”, per una più palesata anima replicata, in un terreno free jazz. Senza dubbio però la vera meraviglia si ha nel trittico “CARPACCIO esistenziale in salsa insondabile”, “carpaccio ESISTENZIALE in salsa insondabile” e “carpaccio esistenziale IN SALSA INSONDABILE”, in cui la band piemontese, in poco meno di dieci minuti riesce a trasmettere la propria costruita follia provocatoria, che oltrepassa la trovata dei titoli diversificati solo per l’uso ragionato del maiuscolo. I tre brani offrono dapprima immagini villerecce, l’attraversamento di una più facile atmosfera roccheggiante per poi terminare in un industrial rumorista tra sfondi normalizzati e suoni di calici in vetro.
Non mancano neppure segni di una discreta preparazione sonora che anela a mete più nobili, come nella deliziosa, ma a tratti pretenziosa “TRE PUNTI SOTTO IL LIVELLO DEL MARE”, in cui i ritmi dilatati e desertici offrono un’interessante spunto che ricorda il suond livellato dei Sigur Ros.
Insomma, questa volta la Fratto 9 under the sky sa di avere tra le mani un interessantissimo progetto, che pur avendo in se ancora necessari margini di maturazione, va ben oltre le aspettative, per un disco che a differenza di molti altri sui generis si riesce a far ascoltare anche più volte di seguito.