Eugenio Finardi – Fibrillante Tour 30 agosto 2014 (Priverno – LT)
Serata calda e umida quella che ci accoglie nel Castello di San Martino a Priverno (Provincia di Latina), suggestiva location scelta da Eugenio Finardi per la data pontina del suo Fibrillante tour. Sono insieme a due cari amici, piuttosto curioso di poter ascoltare uno degli ultimi pezzi da 90 della storia del cantautorato italiano ancora in attività e di cui ho avuto il privilegio di recensirne l’ultimo disco per questa stessa rivista, all’inizio dell’anno. Grazie allo spazio limitato, il pubblico è tutto seduto e numericamente esiguo, il che lascia ben sperare in un concerto intimo e speciale. La copiosa discografia dell’artista italo americano (il primo LP “Non gettate alcun oggetto da finestrino” – risale al 1975) ci ha sempre regalato momenti di notevole intensità, fatta non solo di suoni curati, ma soprattutto di contenuti mai superficiali. Come ho già scritto nella presentazione di Fibrillante, lui sa essere tanto sensibile e dolce quanto pronto a farsi portavoce degli ultimi, dei dimenticati, prendendone le difese in prima persona e mostrando, se necessario, la giusta rabbia.
Eugenio si presenta tardi (23,30) per il dilungarsi del gruppo spalla che ha anche organizzato l’evento, e non si esime dal sottolinearlo con sottile ironia aprendo con il pezzo apripista del nuovo album che si intitola, per l’appunto, “Aspettando”. Il tema affrontato è lo stesso della seguente “Come Savonarola”, nonché il prevalente del disco, vale a dire una critica senza filtri alle cause all’attuale crisi, dovuta a scelte scellerate ed egoiste dei pochi potenti che manovrano l’economia mondiale. Il palco vede schierati l’impeccabile Giovanni “Giuvazza” Maggiore, alla chitarra, il cesellatore di suoni Paolo Gambino, alle tastiere, ed una sezione ritmica di primissimo livello con Marco Lamagna al basso e Claudio Arfinengo, alla batteria. I “ragazzi” assecondano lo spirito da “chiacchierone” che anima Finardi visto che, fra i diversi brani, devono spesso attendere un bel po’ per le lunghe e interessanti presentazioni che raccontano i dettagli segreti di ognuno di essi.
Al riguardo ho trovato molto tenera, ad esempio, la descrizione dei rimbrotti della mamma americana dopo aver ascoltato per la prima volta “Dolce Italia”, nella quale non parlava certo in termini lusinghieri della società d’oltre oceano. Così come molto intimi risultano i dettagli di due pezzi storici “Non è nel cuore” e “Un uomo”, messi in parallelo e dedicati rispettivamente alla “sua prima volta” (vissuta in maniera un po’ animalesca) ed al rapporto – molto più maturo perché frutto dell’esperienza di anni – fra lui e l’attuale compagna, ma visto dalla parte di lei. La sua straordinaria propensione empatica è molto evidente anche nella recente “Le donne piangono in macchina” nella quale sottolinea la maggiore sensibilità delle donne rispetto agli uomini, oppure nella toccante “Storia di Franco” che ha scritto prendendo ispirazione da un conoscente del mondo della discografia, caduto in disgrazia – umana ed economica – dopo il divorzio dalla moglie.
Le sue donne, scopriamo, si chiamano entrambe “Patrizia” (forse la sua più bella canzone di sempre sull’amore) e Finardi ci svela che questo nome è da sempre destinato ad entrare nella sua vita, visto che anche quando aveva 3 anni si era creato un’amante immaginaria chiamandola proprio così. Qualsiasi commento è superfluo invece (e infatti viene volontariamente omesso) per la stupenda “Le ragazze di Osaka”, presentata in chiave più rock e accelerata, per un’immancabile “Extraterrestre” o per la finale e attesissima “Musica ribelle”, pezzo simbolo di un’intera epoca.
Quando la band si alza per il saluto al pubblico è ormai l’una e mezza di notte e la sensazione che resta è di non essere andati ad un concerto, ma di aver incontrato ed ascoltato un amico che credevi di conoscere bene ma, al contrario, ti ha illuminato “a giorno” sui passaggi più significativi della sua storia musicale. E allora te ne torni a casa pensando che in fondo, forse, questa serata non sarà poi tanto facile da dimenticare.