Enrico Pieranunzi – Trasnoche
È stato grazie ad un cd di Enrico Pieranunzi inserito nella rivista di JazzIt, di cui certamente vorrò parlare fra non molto, se ho cominciato a scoprire ed amare il jazz italiano.
Certo oggi non si tratta più di una Cenerentola nell’ambito delle proposte musicali internazionali, molti degli artisti del nostro paese sono famosi in tutto il mondo ed incidono per case discografiche di primo piano, ci sono libri a loro dedicati e riviste che ne seguono la crescita professionale, e questo “Trasnoche” (Al di là della notte) registrato a Perugia nell’Auditorium di S. Cecilia nell’aprile del 2002 è un buonissimo modo per iniziare una serie di recensioni dedicate al Jazz di matrice mediterranea perché, come si vedrà, ha tutte le carte in regola per fare da apripista.
Enrico Pieranunzi è un pianista di fama mondiale la cui vena creativa si può far risalire agli esempi illustri di Gil Evans e Chet Baker, il suo è un jazz dolce, meditato, poco contaminato dalle correnti più estremistiche. La sua è una musica che scorre via con un flusso naturale che lo accomuna all’esperienza artistica dei grandi affabulatori più che a quella degli sperimentatori.
Seguirlo in uno dei suoi concerti significa seguire un flusso poetico che ci porta a scoprire sempre cose nuove
Nato a Roma nel 1949, inizia la sua carriera come concertista classico prima di dedicarsi al jazz a tempo pieno. La sua carriera è costellata di grandi esibizioni e di collaborazioni illustri come quelle con Chet Baker, Art Farmer, Paul Motian, Lee Konitz.
In questo disco, si esibisce con Pieranunzi un compagno di tante serate, il contrabbassista Marc Johnson, americano del Nebraska che nella sua carriera ha collaborato con nomi di primo piano come Bill Frisel, John Scofield, Michael Brecker, Jack DeJohnette.
I due incidono in coppia, o in trio con il batterista Joey Baron, fin dal 1984 ed hanno firmato dischi bellissimi. Trasnoche è uno di questi.
I brani di Trasnoche sono tutti di Pieranunzi, non ce n’è uno che spicca sugli altri, il livello è sempre altissimo, se volessi esprimere una preferenza direi che Trasnoche e The chant of time sono quelli che mi emozionano di più, ma forse è solo per la suggestione esercitata dal titolo. Il brano finale “Clouds” è una improvvisazione che ci dona due minuti e mezzo di estasi sonora.
Tutto il disco è costituito da brevi meditazioni, il brano più lungo dure sette minuti, ma i due strumentisti non si parlano addosso, non ha nulla di narcisistico la loro musica: raccontano con i suoni, non raccontano storie, la loro musica ha più a che vedere con la poesia che con la narrazione, ciò che conta è la trasmissione delle emozioni. Ogni ascoltatore ci mette dentro le storie che ha.
Non so nemmeno se si possa ancora parlare di musica jazz in questi lavori, forse si tratta di una forzatura o forse è vero quello che scrive Alessandro Baricco in Novecento: –Quando non sai cos’è allora è jazz.–
Per finire una parola sulla casa discografica perugina EGEA, una casa tutta italiana con alle spalle almeno una quindicina d’anni di vita, con le sue bellissime copertine nere e con alcune incisioni che fanno ormai parte della storia del jazz. Grandissima la cura nelle registrazioni, in particolare questo Trasnoche gode di una di quelle registrazioni che fanno pensare a quali siano le possibilità del tanto bistrattato cd, ora strapazzato dai confronti con i vecchi lp, ora dato per morto e sepolto grazie a questi fantomatici nuovi formati che però non conquistano mai gli scaffali dei negozi. Qui il piano e il contrabbasso sono assolutamente “reali”, naturali, senza forzature, senza suoni metallici. Tutto perfetto ad aggiungere, qualora ve ne fosse bisogno, un ulteriore motivo di interesse ad un’incisione che già da sola sarebbe da possedere anche se fosse stata registrata in mono da un vecchio registratore a cassette.
Maurizio Germani
Maggio 2007