Elettronoir “Suzu”, recensione
“Bisognerebbe creare della musica d’arredamento…una musica che facesse parte dei rumori dell’ambiente…risparmierebbe il solito scambio di banalità”
Erik Satie
Iniziare a parlare degli Elettronoir significa intraprendere un nobile sentiero artistico che trova ragione d’essere non solo nel monicker stesso, definibile come il più classico dei nomen omen, ma anche attraverso l’analisi stilistica di scelte, narratività e work art. Proprio da quest’ultima vorrei partire per raccontare un disco che cela una profonda cura per i dettagli. Il bilanciamento del color pass, l’utilizzo di spazi, sovrapposizioni metaforiche, font e foto session rappresentano l’approccio estetico di un trio cupo e per certi versi vintage, in grado di raccontarsi alla perfezione attraverso otto tracce riccamente vestite.
Proprio dalla grafica di Elena Pucci e dalle foto di Stefano Corso partiamo per intraprendere un viaggio posto tra aforismi, rimandi colti e realistiche visioni ammorbate dai tempi “fragili e allucinati”. Una narrazione, come dice Stefano Zuccalà, frammentata ma coerente, in cui i suoni abbandonano la facilità per accorre verso ricercatezza e coraggio.
Raffinatezza che troviamo nell’immediato delle note quiete di Divisione Satie, in cui la vocalità, distesa e dilatata, ci riporta alla mente i La Crus di Dentro me. L’introduzione, magica e visionaria, si posa su di una struttura reiterata, che riesce ad avvolgere l’astante per mezzo delle sue tonalità nereggianti. Il sound, intarsiato da un accenno elettronico conciso, traina la tonalità statica verso lievi divergenze, senza però mai esplodere, rimanendo in un confine contenuto e ragionato.
Il mood tende poi al cambiamento con Tracciante quando un riff dominante ci porta verso le zone desertiche ed atmosferiche di un suono sognate che, dopo una perfetta intro, va ad aprirsi verso la voce Giorgia Lee, abile nel definire un totale cambio di rotta. La canzone offre adeguati spazi a sentori musicali che si avvicinano alla tradizione musicale della Trinacria per poi virare ancora verso un’anima elettronica, atta ad assumere le fattezze new wave in Postal Market. Un sound piacevolmente legato alle sonorità anni 80.
Il blando rumorismo del finale ci introduce poi ad una tra le composizioni più interessanti del full lenght: Guernica, in cui gli eventi storici, già ripresi dai pennelli senza tempo di Pablo Picasso, vengono tradotti in musica tra spigoli e ruvidità di una narrazione dalla tonalità cromatica scarna e al servizio di una struttura nereggiante.
La voce di Marco, a tratti posta in secondo piano rispetto alle inquiete sonorità d’overlay, sembra omaggiare i migliori Baustelle per poi (Resonance) acuire l’anima elettronica filtrata da voce e songwriting visionario e metaforico, pronto a evolvere tra le note della strumentale titletrack, piacevolmente in linea con un album definito da otto capitoli ricchi ed eleganti.
Un disco, pertanto, che non solo arriva a sfiorare le corde dell’attenzione, ma riesce a definire una concettualità in grado di resistere al fuggitivo presente.
1. Divisione Satie
2. Tracciante
3. Postalmarket
4. La seduzione di Eva
5. Guernica
6. Resonance
7. La dedica
8. Suzu