Eddie Vedder – Into The Wild Original Soundtrack
Mi sto avventurando in un campo minato… e questa recensione nasce monca in un campo minato.
Chi ha la mia età ed ha vissuto l’adolescenza ascoltando rock, non può prescindere dal movimento grunge, e chi l’ha ascoltato con appena un po’ di passione non può prescindere dai Pearl Jam. Cosa c’entra questo con una recensione monca ed un campo minato?
| Eddie Vedder | Sean Penn ed Eddie Vedder |
Il punto è che mi trovo un po’ in difficoltà a parlare di Eddie Vedder al di fuori di un contesto “di gruppo”, in cui entità diverse si amalgamavano perfettamente a formare un tutt’uno tecnicamente e poeticamente ineccepibile, (sicuramente più dei Nirvana, e forse-ma-forse poco meno dei Soundgarden, tanto per rimanere in tema) le mine sono formate dai miei ricordi che mi malediranno se solo oso parlare male di Vedder, che mi seppelliranno con la malinconia dei miei 16 anni. La recensione è monca perché il disco è una colonna sonora, dipinta sopra un film, nata con esso e non assemblata, ed io il film ancora non l’ho visto.
“Into the wild” è l’ultima fatica da regista di Sean Penn (che per quanto mi riguarda è attualmente uno dei migliori registi statunitensi) ed è la storia, tratta dal libro di Jon Krakauer “Nelle terre estreme”, in cui si racconta la vera storia di Christopher McCandless, figlio di genitori benestanti, di famiglia alto borghese che un giorno, raggiunta la laurea, molla tutto per avventurarsi nelle foreste tra Canada ed Alaska. Quello che si può definire un Road Movie estremo.
Come detto non ho visto il film, ma ne sento parlare bene in continuazione, ed ho visto il luccio negli occhi di mia madre, quando, l’altra sera, me ne ha parlato. Io dirò solo della musica, quindi, cercando di cristallizzare le onde sonore attorno alle poche immagini pescate nella matrice.
Forse questo è il disco definitivo per Vedder, nel senso che è assolutamente il SUO disco (tanto più che suona quasi tutto lui…) ma si riesce ad identificare con precisione la sua sagoma, forma che si confondeva (non è un fatto negativo) nell’entità Pearl Jam. In questo disco viene fuori la poesia malinconica e pessimista di Eddie, e sembra che il rifiuto della società di McCandless, sia lo stesso del musicista: “…society, crazy indeed, hope you’re not lonely without me…” ed il bello di questo disco è che cerca di imitare l’aria rarefatta (a volte il gelo) dei paesaggi e dei luoghi raccontati nel film, e lo fa limitando il numero degli strumenti in gioco, mantenendo un profilo basso, dinamiche solo accennate, un’attitudine acustica e folk che deve molto al country, alla musica tradizionale statunitense, a Bob Dylan, Woody Guthrie, Neal Young, Nick Drake. La registrazione è molto accondiscendente, segue questa indole, a volte trascurando la pulizia, ma rendendo molto “fisica”la presenza del musicista nella nostra stanza (nel finale di “guaranteed” si sente il corpo di Vedder che si stacca dalla chitarra…). Vero è che a volte ci sono delle cadute di tono, che il disco non riesce a catturare sempre la nostra attenzione, che i paragoni con i Pearl Jam sono sempre dietro l’angolo, e questo non può che trarci in inganno.
Undici pezzi (dodici se si considera che la conclusiva “guaranteed” è presente anche in versione strumentale, come ghost song) anche molto brevi, (sette di essi non superano i tre minuti!) che sembrano non volersi staccare dalle tematiche del film, che non solo sembrano richiamarlo continuamente in testi, sonorità ed atmosfere, ma reclamano il diritto di essere indivisibili da esso. Come dire che chi ascolta il disco sente FORTE la necessità di veder il film (ed è vero) e viceversa.
Vedder non verrà ricordato per questo album, né questo potrà essere affiancato ai suoi lavori con i Pearl Jam, e pur tuttavia è una gran prova, un buon disco, ed uno dei rari casi in cui mezz’ora di musica quasi esclusivamente acustica non annoia.
Una perla dolce da far sciogliere lentamente in bocca.