Echoes of the outlaw roadshow – Counting Crows
I Counting Crows sono una band che ha sempre centellinato le proprie pubblicazioni discografiche, siano esse in studio, oppure live. Non posso negare, quindi, un certo stupore (in senso positivo, sia chiaro) quando ho saputo che ad appena un anno di distanza da Underwater sunshine (a mio avviso, bellissimo album di cover del 2012) stava per uscire Echoes of the Outlaw Roadshow. Si tratta di una selezione del meglio del loro ultimo tour che, in realtà, più che una serie di concerti ha rappresentato una vera e propria festa del rock, coinvolgendo ben 19 band americane emergenti rispetto alle quali, sostanzialmente, Duritz e compagni hanno quasi fatto da chioccia.
La set list è stata verosimilmente selezionata con cura, limitando al massimo le canzoni già apparse su altri album live. Fra queste ultime, non potevano mancare però almeno un paio tratte da “August and everything after” (disco di esordio del ’93 e, forse, più bello di sempre), a mio avviso ben rappresentative delle loro due anime: quella malinconica e quella più “casinista e festaiola”. Sto parlando rispettivamente di “Round here”, ballata straziante e dilatata (oltre 10 minuti), che fece conoscere a tutti la profonda capacità espressiva del frontman dei Crows e di “Rain king”, più allegra e “da strada”, con una linea melodica molto più radiofonica.
Ci sono poi alcuni pezzi tratti dal succitato “Underwater…” fra i quali la rockeggiante “Hospital”, finita su un side prjoect del loro polistrumentista Immergluck con l’autore del brano (Coby Brown) e la sbarazzina “You ain’t going nowhere”, presa in prestito da “The basement tapes” di Dylan con la Band, qui posizionata proprio in chiusura del disco. Sinceramente resta il rammarico di non poterne riascoltare altri come “Meet on the ledge” o “Coming around” che forse meritavano molto di più mentre, per fortuna, ritroviamo qui la folleggiante ballata “Start again” del gruppo sconosciuto chiamato “Teenage Fanclub”. Una vera perla.
Degli altri brani che completano la scaletta del concerto nessuno è stato mai un singolo e già questo è sufficiente a fare di “Echoes…” un disco imperdibile (quanto meno per quelli che li seguono da tempo). Sì perché, come spesso capita, sono proprio le canzoni che stanno nell’ombra e meno pubblicizzate ad essere le più amate dai fan più accaniti di un artista, o di un gruppo, e poterle rivivere magari con un vestito diverso è una goduria non da poco. “Four days” (da “This desert life” del 1999), ad esempio, ha un ritmo e una verve eccezionali, rappresentando al meglio la capacità dei Counting crows di scrivere canzoni dal tipico “american sound”. La dolce ballata acustica “Carriage” (con una tromba vellutata sullo sfondo) e il crescendo rock della splendida “Up all night” sono invece due degne porta bandiera di uno dei loro dischi migliori (“Hard candy” del 2002) che, come giustamente ricorda Adam Duritz al suo pubblico: “…was a late night album”.
“Friend of the devil” dei Grateful dead, già ascoltata nel loro best of (“Films about ghosts”) e “Girl from the north country” (traditional reso famoso da Dylan), mai cantato prima dalla band californiana, completano il quadro di questo quinto album dal vivo che conferma quanto i ragazzi siano ancora in forma, nonostante siano sulla cresta dell’onda della scena musicale d’oltre oceano da ben 20 anni.
Speriamo solo che ritornino presto in studio, magari per regalarci entro un anno un nuovo disco di inediti, la cui spasmodica attesa dura ormai già da un lustro.