Djibril Diabate – Hawa
La kora è un’arpa a 21 corde suonata dai djeli (griot) mandengue, uno strumento di cui la tradizione afferma che fu donato a Tourama Traore, generale di Soundjata Keita e antenato della famiglia Diabate, da alcuni stregoni che vivevano in un’isola davanti alla costa dell’attuale Guinea Bissau. Le due scuole di kora più rinomate sono quella del Gambia e quella del Mali. Delle due la prima prevede l’uso della kora come strumento solista, mentre quella maliana la vede soprattutto come strumento di accompagnamento per i cantanti.
Nella tradizione maliana la kora guadagnò la posizione di regina degli strumenti solisti dopo l’indipendenza, grazie soprattutto all’opera di Sidiki Diabate, che aveva imparato l’arte in Gambia, il quale realizzò nel 1970, assieme a Sekou Batourou Kouyate e Djelimady Sissoko, un disco storico di musica per sola kora: Cordes Anciennes (Bärenreiter Musicaphon, 1970, ristampa Buda Musique).
Qualche anno più tardi il figlio di Sidiki, Toumani Diabate, raccolse l’eredità del padre, scrivendo nuove pagine di musica per kora solista. Era il 1988 quando uscì Kaira (Hannibal), il primo splendido disco di Toumani in cui si poteva ascoltare musica per una sola kora.
Dopo Kaira, tra gli artisti maliani soltanto lo stesso Toumani e Ballake Sissoko, suo cugino, hanno avuto il coraggio di produrre musica per sola kora. Finalmente l’anno scorso sono usciti due nuovi dischi per sola kora, a dire il vero entrambi notevoli, realizzati dai giovani Mamadou e Djibril Diabate, rispettivamente cugino e nipote di Toumani, del quale sono entrambi anche allievi. Oggi parliamo dell’ultimo disco di Djibril, Hawa, un artista e il suo strumento, senza trucchi o ruffianerie di sorta.
Djibril è un giovane virtuoso della kora proveniente dalla famiglia Diabate. Prima di Hawa aveva già pubblicato “Soun Soun – La Tradition Mandengue” (1998, Terp AS-01), un disco acustico e interamente strumentale a nome del gruppo Lanaya, un trio che vedeva, oltre a Djibril, i giovani Fassery Diabate – figlio di Keletigui – al balafon e Mahamadou Kamissoko allo n’goni. Ma Hawa è un progetto più coraggioso, e anche più maturo di Soun Soun.
Prima di ascoltarlo avevo sentito parlare di Djibril come di un giovane portento. Si dice che entrambi, lui e Mammadou, potrebbero con il tempo superare il loro straordinario maestro, che a sua volta lo aveva fatto con suo padre, non solo per tecnica, ma anche per creatività e originalità.
In effetti, per chi conosce bene i lavori di Toumani è facile individuare in Hawa l’incredibile capacità di rielaborazione di Djibril, nonostante la giovane età. Il suo tocco è più deciso, accentuando la distinzione tra le note, quasi avvicinandosi al modo percussivo di suonare la kora degli artisti del Gambia. Laddove Toumani distingue chiaramente con le due mani l’accompagnamento dalla parte solista, Djibril alterna momenti in cui ciò accade, come nella splendida Kouyate, con altri in cui entrambe le mani costruiscono un’intricata struttura ricorsiva di figure melodico-ritmiche complesse, le cui microvariazioni si sviluppano in relazione tra loro. Questo stile, che sembra avvicinare la kora al balafon, suona incredibilmente teso e asciutto, rispetto al lirismo di Toumani, nei confronti del quale risulta più “moderno” e predisposto alle ibridazioni.
In conclusione, Hawa è un disco non solo bello di per sé, ma anche una promessa per il futuro. Djibril è un djeli che sarà in grado, come Sidiki e Toumani, di rispettare la tradizione e rinnovarla al tempo stesso. E’ grazie ad artisti come lui che una cultura secolare come quella della musica mandengue continua a vivere oggi, e credo che questo possa bastare.