Disintegration (1989) – The Cure
Continuiamo la nostra panoramica sui “Dischi da Isola Deserta” con un album che personalmente ho amato e consumato sin dal giorno della sua uscita (2 maggio 1989). Stiamo parlando di “Disintegration” dei Cure che rappresenta una sorta di viaggio nell’abisso della psiche umana, fino a toccarne il midollo spirituale, là dove si annida il dolore inconsolabile e il sentimento dolceamaro che spinge all’autodistruzione.
Coerentemente con questo affascinante tema, la musica dark creata dalla band accompagna in modo quasi magico questo percorso immaginario e crea il letto perfetto sul quale far scorrere le forti emozioni che crescono canzone dopo canzone.
Robert Smith e compagni, che pure avevano già raggiunto elevate vette estetiche in precedenza (“Seventeen Seconds” e “Pornography” su tutti), si trovarono in uno stato di grazia artistico irripetibile, paradossalmente proprio dopo una grave depressione del frontman. Il risultato sono 12 canzoni sublimi nei quali si concentra tutto il loro talento e la loro credibilità, nel tentativo di raggiungere la perfezione.
Il brano che lancia “Disintegration” è l’aracnofobica “Lullaby”, che descrive l’incubo di un uomo di essere mangiato nella notte da un Uomo-Ragno, arrivato nella sua camera subito dopo il tramonto. La melodia e il tappeto di tastiere che la disegnano sono magnifici e pur avendo un vago retrogusto pop, in realtà non suonano mai commerciali. Il video è rimasto nella storia degli anni 80. L’episodio che preferisco, ancorché la scelta sia molto ardua, è “Fascination street” (colonna sonora del film “Lost angels”) che è anche il più marcatamente rock. Le tre chitarre elettriche creano un vortice incredibile, mentre la sezione ritmica non offre un attimo di tregua, evidenziando cosa significhi avere a bordo un bassista (Simon J. Gallup) e un batterista (Boris Williams) super affiatati e veramente grandi. La considero un po’ come la sorella più grande di “Burn”, che verrà pubblicata diversi anni dopo e che se fosse finita in questo disco avrebbe reso il tutto ancora più strepitoso.
Non poteva mancare un riferimento esplicito alla morte, con la tristissima ballata “Pictures of you” nella quale un uomo innamorato scorre fra le mani le foto della sua donna scomparsa (“I’ve been looking so long all these pictures of you that I almost believe that they’re real / I’ve been looking so long all these pictures of you that I almost believe the the pictures are all I can feel”) cadendo nei più dolorosi rimpianti. L’ipnotica title track, l’inquieta “Prayers for rain”, ma soprattutto la malinconica “The same deep water as you” contribuiscono a rendere sempre più cupo il mood di questo LP, consentendo a chiunque lo ascolti di percepire empaticamente lo stato d’animo di chi l’ha scritto e, in fin dei conti, di cavalcarne le infinite suggestioni. Il pezzo più radiofonico resterà invece “Lovesong”, che infatti fu spesso l’unica omessa nella scaletta del tour, alla cui tappa di Bruxelles ebbi la fortuna di partecipare (concerto indimenticabile). Tori Amos prima e Adele, più di recente, ne hanno fatto una personale cover, in entrambi i casi più che dignitosa.
Dopo “Disintegration” i Cure pubblicheranno ancora l’ottimo “Wish” per poi iniziare, lentamente, una fase creativa sempre meno brillante. In ogni caso non raggiungeranno mai più tali livelli di qualità assoluta per i quali, in ogni caso, non smetterò mai di ringraziarli. Nel loro ultimo tour in Italia hanno però dimostrato che, almeno dal vivo, sono ancora una rock band di tutto rispetto e fra le più interessanti di sempre.