Devil Within “Not yet”, recensione
Sporco e fuori tempo (…e per il sottoscritto è senza dubbio un buon complimento.)
Sporco perché l’attitudine garage punk sembra mescolarsi con heavy metal degli albori, quando Paul Di’Anno raccontava gli esordi dei Maiden.
Fuori tempo perché i Devil Within, pur consegnandosi alle nuove generazioni, appaiono fortemente legate all’age d’or dell’HM, quando la perfezione esecutiva non era di certo una priorità narrativa.
Così è (se vi pare) per questo Extended Played mixato male quanto un disco Oi! di metà anni 80, ma lo dico inseguendo il (mio personale) vero, affermando che proprio l’intersezione delle strutture sonore “non ancora” mature appaiono il reale brillio espressivo. Al di là di una perfettibile pronuncia, infatti, il disco riesce in sole cinque tracce a raccontare un periodo storico che trova il proprio apice negli echi thrash di Price of ideologies, che da sola vale il prezzo di entrata. La traccia, figlia legittima del passato, tra riusciti riff e guitar solo armonici, appare in grado di raccontare una rara propensione compositiva, ormai persa nell’aridità digitale. Il sapore lo-fi, conferma, sin dal primo ascolto, un magico tuffo in quel passato in cui dominava il tape trading e non certo la vacuità digitale del nostro oggi.
L’album, nascosto nel suo formato digipack, si schiude grazie al modernismo estetico di Flat feet , da cui emergono carenze tecniche, ideale traino verso un binario perduto che farà la felicità di vecchi nostalgici (musicali) come me. A chiudere l’EP non potevano di certo mancare echi Black album ( Hellcore ) intercalati tra espressività megadeth e narratività orrorifica.
Un album, dunque, straordinariamente imperfetto, in cui l’unico reale difetto (mi) appare una perfettibile e già citata pronuncia anglosassone ancora lontana dalle attese.
Up the Devil Within