Desolate Shrine “The Heart of the Netherworld”, recensione
Misantropia, nichilismo e negatività. Oscurità ira e rabbia. Da qui partono i Desolate Shrine, triade oscura dedita a forme impure di black-death metal.
La band finlandese a distanza di tre anni da The sanctum of Human Darkness giunge alla terza fatica, sotto l’egida della Dark Descent Records, giunge a mostrare, se ancora ce ne fosse necessità, una rara maturità espressiva in grado di valicare l’impronta genuina e granulosa che ne ha contraddistinto tempi degli esordi. Ancora una volta l’eclettico trio sembra voler affrontare le affliggenti tematiche portanti senza lasciare nulla al caso.
Un antro tetro, horrorifico e cigolante ci introduce tra i meandri di Netherworld, non-realtà oscura e perforante. Una claustrofobica atmosfera introduttiva, in cui il mefistofelico sentore ci invita con le sue note ipnotiche a percorrere le nebbie dell’ade, solitarie e raccolte attorno ad un Santuario desolato , da cui note affette e taglienti si accalcano in una continua oscillazione tra disorientamento e perdita di direzione. L’impronta data e voluta dalla band sembra focalizzarsi attorno a chaos ponderato ed ira prestabilita, spesso limata dai contorni foschi di un approccio nereggiante, in grado di convogliare le forze espressive del black nordico con tipizzazioni death. Le striature chitarristiche, che molto devono alla Norvegia metallica degli anni’90 ed ad un lavoro in bass line davvero prezioso, fungono da dna emozionale, ponendosi al servizio del growling mai gutturale, ma al contrario strutturato alla perfezione per armonizzarsi al battente e ridondante crepuscolo diluito e avvolgente. Complici le durate estremizzate di alcuni brani, l’ascoltatore non potrà che ritrovarsi immerso tra le distorsioni temporali e i cromatismi nullistici, che sembrano voler trovare un continuum narrativo (e grafico) con l’opera precedente.
Un impianto sonoro che non lascia troppi spiragli emozionali, proprio come avvalora la lunga suite We down Anew, dimostrazione di come l’impronta cripto depressive black metal non sia così lontana dalle intuizioni sonore della band. Qui i back voice, ben assimilati dall’esposizione, si scostano alla perfezione dalla sottile linea nera imposta da ombre e dall’andamento curiosamente marziale che sembra intravedersi nel cuore del brano. Le enclave calmieranti pongono l’accento sulla creatività narrativa dell’ensemble che si mostra come delineata su di un’intensità ragionata.
Spazi desertici, blast beat e impenetrabilità acuiscono poi le venature aperte da Leviathan, i cui sapori vintage dirigono la metafora del caos primordiale verso Heart of the Netherword . Proprio la tracklist si presente nell’immediato come l’episodio migliore del disco, grazie a reminiscenze deja ecu, in cui la linea vocale, splendidamente sdoppiata, si cuce addosso ad un andamento scosceso e ricco di spigoli.
Insomma…un sentiero da cui non si riesce a ritornare.
Tracklist
1. For the Devil and His Angels
2. Black Fires of God
3. Desolate Shrine
4. Death in You
5. We Dawn Anew
6. Leviathan
7. The Heart of the Netherworld