David Torn – Door X
Già collaboratore di musicisti illustri (due nomi su tutti: David Sylvian e Jan Garbarek), David Torn è uno dei personaggi che con tenacia e grande convinzione tentano di espandere i confini espressivi del proprio strumento. Nella fattispecie Torn usa la chitarra in maniera decisamente anticonvenzionale.
Il Nostro diversi anni fa realizzò un video didattico che si intitolava “Dipingere con la chitarra”; lui stesso si definisce sul suo sito non “guitarist” bensì “texturist”, cioè creatore di tessiture (sonore), e già da questo approccio poco incline al conformismo si può intravedere una dichiarazione di intenti.
La cosa più interessante, poi, è data dal fatto che questo anticonformismo non è una posa artistica (come spesso capita di osservare) fine a se stessa ma la conseguenza logica di una totale dedizione allo strumento e al desiderio di sfruttare al massimo le sue possibilità espressive. Per realizzare il suo scopo Torn spreme al massimo, oltre la sua fida ascia (magistrale l’uso della leva, vera e propria estensione dello strumento), anche tutto ciò che la tecnologia mette a disposizione, facendo sì (e qui si vede il vero artista) che sia la tecnologia a rendere servizio alla musica. I risultati sono a mio parere affascinanti, pieni di sfaccettature e con i suoni in continua evoluzione; facendo un paragone visivo, si ha la stessa sensazione di osservare un caleidoscopio.
A questo punto i puristi storceranno la bocca all’ascolto del cd: “Ma qual’è la chitarra? Suona come qualsiasi altra cosa tranne che come una chitarra!” Ok, per chi associa la chitarra al suono della chitarra acustica forse è il caso di rivolgersi altrove… Oppure potrebbe essere il momento di cambiare il punto di vista e iniziare ad aprire le orecchie.
Una secca pulsazione percussiva apre il disco, subito seguita dalla chitarra che ricama un veloce fraseggio dal sapore orientaleggiante. E’ l’incipit del primo brano, Time bomb, una sorta di quasi (molto quasi) blues che lascia comunque pochi riferimenti all’ascoltatore. Torn canta, e pure bene. Il tono di voce è corposo e abbastanza profondo, potrebbe ricordare vagamente Jack Bruce ma un po’ più “scuro” del mitico bassista dei Cream.
Lion of Boaz è invece uno strumentale molto coinvolgente nel quale Torn viene affiancato al basso dall’ex Japan Mick Karn. La struttura è molto semplice, il tema inoltre viene ripetuto più volte, riprendendo quasi, a livello di approccio, la ripetizione ipnotica di certa musica mediorientale, il cui il cambiamento a livello armonico è quasi assente.
Il terzo brano vede la comparsa di una cover, Voodoo chile di Jimi Hendrix, della quale conserva intatte le sole note del riff di apertura. Tutto il resto è frutto della poetica visionaria di Torn, compreso il solo di chitarra, ben lontano dai soliti cliché sonori legati alla seicorde.
The others rappresenta, a parere di chi scrive, l’episodio più interessante e stralunato dell’album. Una sequenza di percussioni (accordate come a suonare una melodia vera e propria) apre il brano su cui si dipana l’introduzione, finito il quale la chitarra ricama il primo tema, contorto ma suggestivo; sulla partenza della batteria è la tromba di Chris Botti ad enunciare il secondo tema, per poi lasciare il passo alla chitarra. La coda del pezzo rimane sospesa, sorretta dal suono indefinito di pad di chitarra e dalle tastiere che riprendono la progressione dell’intro.
Veramente bello!
Si torna, dopo cotanto strumentale, ad un brano cantato decisamente più terreno; Diamond mansion è un brano sorretto dalla chitarra acustica, con ambientazioni e intenzioni vocali accostabili a Peter Gabriel di Us. Come al solito di gran gusto il solo, con il suono della chitarra che pare assumere riflessi diversi in continuazione.
Si passa quindi a Good morning Mr. Wonderful, strumentale in cui al tema estremamente cantabile fa da contrasto un assolo lancinante (con tanto di feedback finale) e sofferto.
Brave light of sun è un brano dilatato, dalle improvvise coagulazioni elettriche, sorretto dal piano di Anthony Widoff nella prima parte e dalla sola chitarra “manipolata” di Torn a ricamare gli ambienti nella seconda, per un risultato estremamente intimista e meditativo.
Ancora due brani cantati di grande respiro melodico con Promise e Taste of roses nelle quali, oltre all’apporto di Mick Karn (autore su Taste of roses di un walking bass abbastanza inconsueto), si assiste alla grande abilità del Nostro ad utilizzare i registri meno battuti della chitarra, con pad avvolgenti e sfuriate lisergiche.
Il cerchio si chiude infine con la title track, un altro simil-blues (se non altro per la melodia del cantato virata decisamente verso lidi pentatonici) che vede un Torn in grande spolvero lasciarsi andare a veloci fraseggi in tapping, chiudendo in bellezza un album davvero straordinario.
Beh, che altro dire? Compratevelo!