Daniele Ronda & Folkclub”Da parte in folk”, recensione

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Non fatevi ingannare dalla foto in bianco e nero che capeggia in copertina!

L’atteggiamento da poseur e lo sguardo da boy band è un grosso equivoco, che nulla ha a che fare con Da parte in folk, disco tanto convincente quanto curato nei suoi meandri strutturali.

Daniele Ronda con il suo Folkclub abbandona il ruolo di autore solitario per esprimersi a vivo, e proprio grazie all’amore esplicito per la chiave di violino, arriva ad abbandonare il ruolo di ghost writer, per offrire al mondo folk rock 12 tracce intense.
Infatti, come ci si poteva aspettare, la prigione d’orata del songwriting non era in grado di essere cibo sufficiente per chi come Daniele vivere di musica…ed è così che ora siamo qui a parlare del nuovo full lenght dell’artista piacentino, strettamente legato a sonorità acustiche ed easy, ancorate ad un’ossatura folkeggiante.

Il disco, targato JM production, Venus e Lunatik racconta storie…o meglio canta storie genuine, tra onirica fantasia e rupestre realtà, tra poetica e vere radici. Proprio alla tradizione è dedicato l’incipit del disco che viene battezzato da La nev e’l sol, raccontata in lingua piacentina. Il vernacolo funge da viatico alle dolci e posate note di Sandro Allario e la sua fisarmonica, che ben si sposa al violino di Visalli adeguato all’arte melanconica di un brano dal chorus piacevole e immediato, a differenza dell’alter ego italiano de La neve e il sole, spogliato dei suoi valori.

Il disco offre un buon Equilibrio, interposto tra dolci note hammond e mandolini vintage, sino al ritmo in levare di Cenerentola, allegra e contagiosa realtà, capace di trasportare l’ascoltatore con la sua anima danzante. Tra i brani migliori ritroviamo i valori sussurati di ’M l’avan ditt, che a tratti ricorda l’arte espositiva dei primi MCR, e la coinvolgente Figli di Chernobyl realizzata in featuring con Danilo Sacco. Inevitabile, infatti, percepire dalla perfetta linea di cantato un andamento Nomade, per un duetto davvero riuscito, in cui le due voci si trovano e ritrovano per poi inseguirsi con naturalezza.

Se poi passa quasi inosservata il blando contrappeso di Vento, a trascinarci nel vortice folk ci pensano Cara e soprattutto la piccola gemma Tre corsari, ballata finita nella sua semplicità. Un brano che sarà difficile non amare, vuoi per la partitura orecchiabile, vuoi per la nobile partecipazione di Davide Van De Sfross, che scalda con la sua vocalità un disco che sarà adorato da chi ama ascoltare folk rock.