Crosseyed Heart – Keith Richards – recensione cd
Un album solista di Keith Richards rappresenterebbe sempre e comunque un evento musicale, anche se facesse letteralmente schifo. Il motivo è presto detto: è il chitarrista della band più longeva della storia del rock e inoltre, nella sua lunga carriera, ha sfornato a suo nome solo altri due dischi (l’ultimo dei quali “Main offender” risale addirittura al secolo scorso – 1992). La verità, per fortuna, è che nel caso di “Crosseyed heart”, non solo non si tratta di un disco brutto, o magari pleonastico ma, al contrario, siamo di fronte ad un raro gioiello che a mio modesto avviso lascerà il segno per i prossimi decenni.
La ricetta di base è la stessa di sempre, che ha fatto la fortuna anche degli Stones, vale a dire la semplicità. I pezzi che si susseguono, infatti, sono costruiti su accordi riconoscibili al primo tocco di chitarra e che, non si sa per quale strana alchimia o magia (Keef deve aver fatto “un patto col diavolo”), continuano ad affascinarci, nonostante la loro presunta prevedibilità. Basta prendere, per esempio, l’attacco elettrico e deciso di “Heartstopper” per sentirsi subito a casa propria, pronti ad ascoltarlo parlare della sua donna in modo sarcastico, evidenziando le marcate differenze di gusti, a partire dalle cose piccole come il cibo o la temperatura (“she likes it when it’s cool, but I just love the heat”) e, nonostante ciò, ammettendo di esserene innamorato folle. Lo stesso singolo “Trouble”, coi suoi riff geniali, non avrebbe sfigurato su uno degli ultimi dischi della sua band come “A biggerg bang”, “Bridges of Babylon” o, perché, no sul prossimo che Jagger & company hanno appena annunciato di volere iniziare ad incidere.
Ovviamente Richards si toglie qua e là anche alcune soddisfazioni personali spaziando verso generi che da sempre lo affascinano maggiormente, come il reggae – “Love over due” – ma soprattutto il blues – l’iniziale title track in chiave acustica lenta e “Blues in the morning”, decisamente più spedita. Dove l’artista inglese sembra fare veramente breccia nei cuori (tutt’altro che strabici, per citare il simpatico titolo dell’album) dei suoi fan è con alcune affascinanti ballate. La prima, “Robbed blind” che potremmo definire già un classico, è calda e morbida come un plaid di pile da potersi tirare sulle ginocchia quando arriverà il freddo dell’imminente autunno. Forse la sua più bella canzone di sempre.
La seconda invece, anch’essa suadente come poche, è “Illusion” che vede la partecipazione di Norah Jones, alla voce e come coautrice. Nel brano i due dialogano come una coppia di amanti, che non ha ancora capito se resterà insieme oppure se è arrivato il momento di andarsene lasciando l’altro libero. Intensa. In verità suona intrigante e non passa inosservata anche “Just a gift”, così come la finale “Lover’s plea” che spicca sia per l’arrangiamento pieno di fiati e organi, sia per quei suoi cori quasi gospel che la rendono particolarmente affascinante.
Tanto per essere ancora più chiari, concludo questa mia breve recensione così come l’ho iniziata e cioè riconfermando che “Crosseyed heart” per chi non si limita ad ascoltare solo la musica che passano le radio o MTV (e che di solito frequenta poco il nostro sito), è un must have da collezionare e da gustare, canzone dopo canzone, proprio come ogni singola ruga che incide il volto di Keef, in copertina, con quel ghigno inimitabile quasi come le sue note