Criminal Party “Revolution Bourgeois”, recensione
“Avevo pochi anni… e 15 anni sembran pochi”, ma già da tempo avevo iniziato a conoscere il mondo garage punk. Molto spesso il tape trading di allora, mi portava in dote curiosità ed estremismi anche grazie ad un amico emigrato a Trapani che mi forniva elementi su cui elucubrare. Anche se ero già alla ricerca di sonorità più heavy, ricordo una TDK da 60 minuti le cui poche tracce mi portarono alla conoscenza di una band chiamata Criminal party, (in realtà la calligrafia pessima del mio ex compagno di scuola riportava la dicitura Triminal party ). Oggi dopo molti anni mi ritrovo a dover e voler recensire 18 tracce (troppe?) del sestetto palermitano, pronto raccontarci rabbia e dolore mediante le femmine vocalità di Vicky Jam e Lisiac, abili nel raccontare l’atteso Revolution Bourgeois, opera spinta dalle manovre accorte di Downbeat e Pink house label.
Il disco, ricco di spiriti vintage, trova un piacevole impatto emozionale nonostante l’eccessiva durata e l’imbarazzante art work, che non riesce a dare la giusta idea alla matrice underground, qui ricca di impeto (mescolato a melodia) e sintesi narrative (alimentate da strutture storiche talvolta sbilanciate sui volumi) . L’ultima fatica dell’ensemble appare comunque ben definito soprattutto nella sua prima parte, in cui regnano non solo le note di Hangry and tired, ma anche l’anima londinese di Join us! , anticipazione emozionale di Rebel World, da cui emerge la reale natura punk della band. Infatti il brano, annoverabile tra le migliori tracce del disco, riesce a trainare l’ascoltatore in un mondo ’77, in cui l’anthem Burned generation aiuta a definirei i giusti contorni dei rimandi cryptobeat.
I movimenti granulari tornano poi calmierati da Dangerous minds e dal pseudo pop di Wasted life che non sembra lasciare il segno, a differenza di We hate you, magnifico rimando al mondo Oi!, qui mescolato in maniera inusuale a Wahwah e bridge disorientanti.
Il mondo reale narrato dalla band prosegue poi con il calore tarantiniano di Assault at central banke con la lunga Deep Crises, inquieta e lineare ridondanza prog rock che anticipa la versione (contemporanea) di 1986 e What about you? ,in cui ci si scaraventa in un polveroso punk di inizio anni ’80… quando l’era d’oro del pop iniziava a scontrarsi con le ultime correnti di un mondo scomparso ed ormai mutato.
Un disco, dunque, da ascoltare annodando la linea del tempo.